Cantami, o diva, l’ira funesta del Pelide Achille… Tutti conosciamo come inizia il proemio (o protesi) dell’Iliade di Omero, così come molti, moltissimi, conoscono il geniale romanzo di Madeline Miller, La canzone di Achille (Marsilio Editori), vero grande caso editoriale degli ultimi anni che di quelle parole è una lunga, dettagliata e, soprattutto, eccezionale parafrasi.
Rievocarne la trama è superfluo tanto quanto affermare che la scrittrice riscriva o rielabori (mettetela un po’ come vi pare) la storia della guerra di Troia è riduttivo. Tanto per iniziare, dalla narrazione sono espunti tutti gli elementi più propriamente epici (e non mi riferisco solo alla metrica, è chiaro), le liti tra dei, le cruenti battaglie e le inutili stragi così come le ecfrastiche descrizioni di scudi e armature. L’attenzione, piuttosto, è focalizzata sul rapporto tra Achille (figlio di Peleo, Pedide) e Patroclo (figlio – rinnegato – di Menezio, Meneziade), affidando non a caso a quest’ultimo il compito di narratore. Amici fin dall’infanzia (da quando Patroclo è esiliato dal padre sull’isola di Ftia), crescono insieme in maniera quasi simbiotica, nonostante de differenze tra un semidio (Achille) e un mortale (Patroclo) tra cui l’amore reciproco è però più forte di qualunque dono divino o profezia, un’unione esclusiva e incondizionata da cui scaturisce quell’ira funesta che è il principio di ogni cosa, il principio della letteratura occidentale, il motivo per il quale possiamo dirci lettori. Non è l’affronto di Agamennone (la hubrys, non taciuta dalla Miller ma anzi sottolineata mantenendo la parola originale greca), non è il ratto di Briseide e la profezia di Crise a scatenare l’ira di Achille, una furia perentoria e inderogabile, sete di vendetta e sangue, ma la morte dell’amato Patroclo per mano del troiano Ettore.

Se: Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta… sono le prime parole della storia della letteratura occidentale, La canzone di Achille di Madeline Miller non avrebbe saputo interpretare meglio quel canto modulandolo sulle frequenze del XXI secolo.

E qui proviamo a fare alcune ipotesi sul perché La Canzone di Achille sia diventato un gigantesco caso editoriale proprio a partire dai social, da Tik Tock in primis e poi, a cascata, tutti gli altri.
Madeline Miller, dottoressa in lettere classiche, ha intuito che il lettore social non è più assimilabile al lettore forte di qualche anno fa. Ha tutto un mondo (fuori e dentro di sé) che non spartisce quasi più nulla con l’idea di intellettualità, accademismo, culturalismo (intesa come culto della cultura), per non parlare dell’elitarismo, che caratterizzava il lettore delle generazioni precedenti. Il lettore contemporaneo, a prescindere dall’età, dal grado di alfabetizzazione (digitale e non) e istruzione, è un lettore fondamentalmente spontaneo, sentimentale, passionale a cui bisogna tornare a raccontare le storie come gli aedi le raccontavano prima ancora di Omero. Perché non raccontargli le stesse storie, allora, iniziare una nuova era di letture, libri e lettori cogliendo dallo stesso Pantheon di storie che hanno primitivamente suscitato il pathos degli antichi ascoltatori: Patroclo e Achille, Circe, Galatea (altri titoli, gli ultimi due, e altrettanti best seller della stessa Miller). Ma anche Calliope, Penelope, Briseide, Didone, Calipso, Arianna, Medusa… quasi tutte donne, sì, perché nei millenni si è modificato anche questo particolare: il lettore “ideale” non è più un uomo (inteso come: di sesso maschile) ma è donna o non binario.
E non chiamiamola più epica, mitologia, elegia. Chiamiamola narrativa. Chiamiamole storie.
La grande rivoluzione compiuta da Madeline Miller con La canzone di Achille è stata quella di capire quello che già Calvino aveva capito a suo tempo, e cioè che al passaggio da un’epoca all’altra per andare avanti bisogna sempre tornare prima indietro.