Il ministero della bellezza di Matteo Lazzarotto

Il ministero della bellezza di Matteo Lazzarotto era già stato pubblicato nel 2013 da Indiana Editore e, ormai fuori circuito ma ancora invocato dai lettori, possiamo solo ringraziare Las Vegas Editore per avercelo riconsegnato in una nuova veste grafica e non solo, per averci dato modo di riflettere su come sarebbe un mondo in cui a dominare è la bellezza intesa come canoni estetici e basta in cui o sei dentro o sei fuori. E Matteo Labrozzo, lo scrittore trentenne protagonista del romanzo, è decisamente fuori.

Tutto inizia con un improvviso e imprevisto exploit mediatico di un parrucchiere ipovedente di Rivarolo, con scarse conoscenze di grammatica e Storia italiana, tale Dominic Ardemagni, che riesce tuttavia a scalare le poltrone della politica e a inaugurare la Callistocrazia, il dominio della bellezza, con tanto di Ministero che decide le sorti dei cittadini: se possono attraversare o meno una strada (a meno di non indossare un sacchetto per il pane sulla testa), fare o non fare un lavoro, entrare o non entrare in un negozio, indossare o non indossare un costume da bagno in spiaggia, concepire o non concepire un figlio. E tutto in base a un unico, indiscutibile, criterio: la bellezza. Cosa deve fare un romanziere con una calvizie incipiente e le maniglie dell’amore? Non molto, al principio. Persino Lisa, la sua compagna, non crede che la Callistocrazia possa avere vita lunga e facile, ma più passa il tempo e incalzano gli eventi, più la cosa sfugge a qualsiasi controllo e per Matteo tenere insieme i pezzi della propria vita, a cominciare proprio da Lisa, non sarà semplice. Come riuscire a pubblicare senza essere belli? Come sfuggire alle restrizioni sempre più asfissianti dei controllori in camicia bianca? Come sopravvivere alla dittatura di qualcosa di così arbitrario, parziale e discutibile? La fantasia e l’intelligenza possono vincere sull’estetica?

Il contesto immaginato da Il ministero della bellezza è chiaramente distopico, eppure come tutte le distopie nasce da un nucleo di autenticità, da una visione forse più acuta e matura di un fenomeno già in atto, portata all’estremizzazione, certo, ma pur sempre presente nella società in una forma nemmeno troppo embrionale e dissimulata. Ma, più che critica, la vena di Matteo Lazzarotto è irriverente, quasi comica e, questo ce lo insegna la commedia dai tempi di Aristofane in poi, la sua funzione è quella di dissacrare il quotidiano prendendo spunto proprio da quegli argomenti sotto gli occhi di tutti, spingendo il pubblico a soffermarsi e riflettere, per quanto in chiave ironica, sulle deformazioni dei tempi che corrono. Perché seguendo il filo dipanato dall’autore si giunge a conclusioni niente affatto scontate.

«Questi nuovi specchi [che sostituiscono la vecchia segnaletica stradale, n.d.r.] oltre a permettere ai cittadini di confrontarsi, che so, per far passare il più bello a un incrocio, abbelliranno le nostre strade e le nostre piazze»

È esattamente quello che intende essere questo romanzo: uno specchio nel quale il lettore può confrontare sé stesso con una delle massime più abusate da tutti, ovvero quella secondo cui la bellezza ci salverà. Ma quale bellezza? E come ci salverà? Soprattutto, da cosa?

Sotto la superficie di un testo godibile e scorrevole, si annida il raro privilegio di poter riflettere su una questione che proprio uno degli scrittori più densamente introspettivi e immanenti di tutta la storia della letteratura aveva posto e cioè Dostoevskij ne L’idiota. Ma il bello del celebre scrittore russo è il bello spirituale, umanistico, quello che combacia con il bene perché riflesso di Dio, mentre la bellezza di Dominic Ardemagni e della sua Callistocrazia è pura forma estetica, priva di sostanza.

A ristabilire l’equilibrio tra le parti (la vera bellezza) ci pensa Matteo Lazzarotto con il suo Ministero della bellezza. La bellezza ci salverà. Sì, quella della buona letteratura.    

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