Villa Ventosa di Anne Fine

Va da sé che Anne Fine sia un’autrice geniale quando si tratta di rappresentare le dinamiche di famiglie disfunzionali. Lo aveva già dimostrato con Lo diciamo a Liddy (ne ho parlato qui), lo conferma con Villa Ventosa, l’altro suo romanzo portato in Italia da Adelphi edizioni nella traduzione di Olivia Crosio lo conferma sebbene con una sottile venatura di maggiore cinismo, se possibile.

Il centro del romanzo è, appunto, Villa Ventosa, la casa di famiglia dei Collet dove regna sovrana la matriarca Lilith, eccentrica e dominante e che nella sua vita ha detestato ogni singolo istante in cui ha dovuto essere madre e perciò ha più o meno devastato la vita di ciascuno dei suoi figli (Victoria, Gillyflower, Barbara e William) quasi quanto il parco centenario che circonda la dimora, vittima innocente di ogni suo momento devastatore ed estirpatore.  

La resa dei conti arriva con l’inatteso annuncio dell’imminente matrimonio di Barbara, la più fragile tra i fratelli, con un seducente cameriere spagnolo dall’improbabile nome di Miguel Ángel Arqueso Algarón Perz de Vega. Di fronte all’atteggiamento sprezzante della madre, non solo Barbara, ma l’intera famiglia Collet va in pezzi, dividendosi tra due fazioni contrapposte: chi è dalla parte di Lilith (Tory e Gilly) e chi si schiera con Barbara (William e il suo compagno Caspar).

Ovviamente quella di Anne Fine è una penna arguta e non può non dar vita a una lunga catena di eventi comici per raccontare il tortuoso processo di reintegrazione (ma sarà davvero così, poi?) tra madre e figli, con Caspar nelle vesti di spettatore acuto e malizioso (a tratti, persino interessato), deus ex machina improvvisato, e inserendo finanche un risvolto da romance in piena regola (o da soap opera spagnola?) a coronare il tutto.  

Con il suo stile brioso e pirotecnico Anne Fine ci induce ad appassionarci ai segreti e alle disavventure di tutti i membri della famiglia senza che quasi ce ne accorgiamo, avvinti come siamo dalla sequenza di equivoci, ricatti e doppi giochi che scandisce ogni pagina.

«Che madre è quella che accoglie anche la versione più splendida di te con un tale disprezzo che finisci per scambiare le sue parole per approvazione? Che infanzia è quella da cui esci talmente inesperta in fatto di lodi che non conosci pure le parole giuste per trasmetterle?»

Villa Ventosa di Anne Fine, nell’esuberanza delle situazioni e nell’eccesso di cinismo dei suoi protagonisti, offre spunti di notevole riflessione sul ruolo dei genitori nella crescita e nella formazione dei caratteri, una variazione moderna del γένος greco così come dei complessi edipici di Freud, conducendo il lettore a porsi una sola ma fondamentale domanda: quanto è difficile emanciparsi dall’eredità epigenetica famigliare?

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