Uscito in contemporanea in tutto il mondo, anticipato dalle principali testate giornalistiche, salutato come un evento, l’inedito Le inseparabili di Simone de Beauvoir (Ponte alle Grazie) è un romanzo toccante e coinvolgente sull’amicizia tra due bambine che diventano adulte oltre che una profonda riflessione sul senso dell’amore di Dio verso gli uomini e degli uomini verso Dio. Gli accenti emotivi con cui l’autrice scandaglia questo particolare argomento parrebbero giustificare la voce secondo la quale il libro non vide mai la luce finché l’autrice era in vita per il veto posto dal suo storico compagno, il filosofo e scrittore Jean Paul Sartre.
Si tratta, del resto, di un testo semi biografico, la vera storia dell’amicizia tra Simone e Zaza Lacoin (qui ribattezzate rispettivamente Sylvie e Andrée). La loro amicizia inizia durante i primi anni di scuola, in piena Prima guerra mondiale, e si protrae fino a dopo l’università e la prima età adulta, ed è fatta, al principio, di gusti comuni e comuni idiosincrasie. Ma come ogni vera e forte amicizia femminile, la base è l’ammirazione senza remore dell’una verso l’altra; un’ammirazione quasi mistica di Sylvie verso Andrée, intelligente, appassionata, a tratti impenetrabile. Dai libri alla religione, le due inseparabili si confrontano e si consolano reciprocamente, anche quando, crescendo, le loro strade divergono. Sylvie/Simone perde la sua fede infantile. Andrèe/Zaza vi si accanisce, invece, in maniera quasi ossessiva. In parte è anche a causa della sua famiglia, controllante, bigotta e oppressiva, che si insinua nella vita della ragazza senza lasciarle vie di scampo, fino a mettere sistematicamente in discussione tutte le scelte del cuore di Andrèe, non esclusa l’amicizia con Sylvie.
Eppure, più che una denuncia verso la possessività della religione, ne Le inseparabili Simone de Beauvoir sembra riflettere sulla figura di Dio, sul suo intimo Essere, sul rapporto di Questi con l’uomo, su ciò che all’uomo è chiesto e su ciò che l’uomo può chiedere, su una possibile riconciliazione tra la natura umana e l’essenza divina in cui la vita di Andrèe sembra essere l’immagine straziante di una lacerazione impossibile da guarire.
«Lei crede ancora in Dio?»
Non esitai; quella sera la verità mi non mi faceva paura. «No, non ci credo più».
«Lo avevo immaginato» disse Andrèe (…). «Sylvie! Non è possibile che ci sia solo questa vita!
«Non ci credo più» ripetei.
«A volte è difficile» disse Andrée. «Perché Dio ci vuole infelici? Mio fratello dice che i padri della Chiesa hanno risolto il problema del male da molto tempo, mi ripete quanto gli insegnano in seminario, ma non riesco a farmelo bastare».
«Se Dio esiste, il male non si spiega» dissi.
«Forse bisogna accettare che ci sono cose che non possono essere spiegate; voler comprendere tutto è peccato d’orgoglio». Spense l’abat-jour e continuò in un mormorio: «C’è sicuramente un’altra vita. Ci deve essere un’altra vita!»
Non c’è traccia in questo romanzo del femminismo per cui la de Beauvoir è principalmente conosciuta. A quarantacinque anni (Le inseparabili è stato scritto originariamente nel 1953) Simone è narrativamente matura e consapevole dei confini tra una tematica e l’altra, consapevole anche che questi confini non sono compartimenti stagni ma linee di demarcazione che talvolta devono restare ognuna al suo posto. Le inseparabili è il ricordo di un’amicizia e di una donna (Zaza) che l’ha accompagnata per un tratto significativo della sua vita. Non è una celebrazione e nemmeno un omaggio. È un ritratto impressionista en plein air (non a caso abbondano le ambientazioni campestri), scritto con gli stessi colori sfocati e delicati di un quadro di Monet che Simone De Beaovoir ha dedicato all’indimenticabile amica di un tempo.
