Con Il country club tornano le avventure di Willie Black, il cronista di nera nato dalla mano di Howard Owen e già protagonista di Oregon Hill (entrambi editi da NNEditore). Rozzo e grintoso, ma allo stesso tempo ironico e rassegnato, consapevolmente contraddittorio, formidabile bevitore, fumatore e amatore; giornalista vecchia scuola esiliato al turno di notte che non disdegna di servirsi delle nuove espressioni mediatiche quando serve (il blog), sangue afromericano nelle vene di un corpo non più in forma ma formalmente bianco, Willie Black è il classico personaggio letterario di genere che una volta entrato nel cuore del lettore vi prende stabile dimora.
Dopo il caso della ragazza decapitata e abbandonata nel fiume, Il country club ci riporta a Richmond, Virginia, in mezzo alle ancestrali contrapposizioni tra neri e bianchi, ricchi e poveri, giustizia e ingiustizia sociale, giuridica, economica, mostrandoci, ancora una volta, la foto e il negativo di un’America che «nasconde le cose sotto il tappeto e alla fine riesce a dimenticarsene». O quasi.
Il caso Slade risale al 1983, quando la ricca, bianca e di buona famiglia Alicia Simpson viene stuprata nello spogliatoio maschile dell’esclusivissimo Quarry, uno dei country club più riservati (nel senso stretto del termine) di Richmond. Arrestato e condannato è Richard Slade, diciannovenne afroamericano senza precedenti e vittima a sua volta di un processo sommario che lo condanna a ventotto anni di prigione. In realtà la condanna è a vita. Se sconta solo una parte della pena è perché il suo caso finisce nelle mani dell’Innocence Project «un vero e proprio network internazionale che attualmente conta un distaccamento anche in Italia […] grazie al quale casi ormai chiusi da decenni vengono riaperti e riesaminati, spesso alla luce della possibilità di eseguire il test del dna» (dalla nota di traduzione di Chiara Baffa). E il dna dello stupratore del Quarry decisamente non è quello di Richard Slade.
Scagionato all’inizio del 2011, la libertà dura solo cinque giorni, il tempo che ci vuole ad Alicia Simpson per essere ammazzata con tre colpi di pistola sparati a bruciapelo mentre è ferma al semaforo alle 5.30 di un mattino. Chi può avere un movente più solido di Slade per vendicarsi della donna che gli ha fatto perdere, con le sue menzogne, ventotto anni di vita ingiustamente?
Questa volta nemmeno Willie Black sarebbe pronto a giurare sulla sua innocenza, anche se nel frattempo ha scoperto che il suo legame con Richard e sua madre Philomena è più stretto di quanto avesse mai potuto immaginare, anche se è abbastanza chiaro che la ricca e potente famiglia Simpson ha già stabilito la colpevolezza di Slade e non intende fermarsi davanti a niente pur di affermarla. Ma forse basta la politica del giornale per cui lavora a farlo intestardire a cercare di scoprire cosa sia realmente accaduto ad Alicia, nel 1983 come nel 2011; forse bastano le minacce di licenziamento, gli scruri dell’omertà a solleticare il suo senso di giustizia a tutti i costi. Una giustizia che non rinuncia a perseguire anche quando sua figlia Andi avrebbe tutto il diritto alla precedenza e anche a rischio di perdere tutto.

Non fosse per il fatto che persino il lettore meno scafato riesce agevolmente a mettere insieme tutti i pezzi ancora prima della metà del libro, Il country club ha tutti gli elementi del noir coinvolgente e trascinante. E, in ogni caso, il fatto che la lettura diventi sempre più avida pur avendo compreso il meccanismo del delitto e del castigo, segna un gran bel punto a favore di Howard Owen, capace di mettere mano a una storia che avrebbe potuto essere scritta nei fumosi anni trenta e invece è del 2013, un romanzo che nasce già come un classico del suo genere (un Humphrey Bogart un [bel] po’ imbolsito sarebbe la perfetta incarnazione cinematografica di Willi Black).
Onirico, crudele, narrativamente stilizzato, visivamente complesso, dal ritmo serrato, con un protagonista tendente all’auto-distruttività e proprio per questo più accattivante. La sua voce, arrochita dalle sigarette, cattura il lettore/interlocutore che, tra una birra e l’altra, è coinvolto non solo sul piano della storia ma anche su quello del contesto socio-antropologico: se si potesse ricostruire anche il genoma di una nazione, in quello degli Stati Uniti (e non solo) vi si troverebbe codificato, in forme e cariotipi diversi, il gene del razzismo che, pertanto, seppur ampiamente utilizzato come materia letteraria, non dismette la sua necessità argomentativa. E Willie Black saprebbe come convincervi del perché.
Un consiglio ai lettori: non sempre è necessario leggere tutti i libri con lo stesso protagonista per comprendere la maturazione della trama. Ma in questo caso sì. Quindi, se ancora non l’avete fatto, recuperate prima Oregon Hill e poi Il country club, tanto la penna di Howard Owen scivola che è un piacere ed è verosinile che nemmeno vi accorgerete del tempo che dedicherete alla lettura. Salvo che per voler ritornare indietro e ricominciare daccapo.