Perché ti ho perduto di Vincenza Alfano

Esce oggi per la Giulio Perrone editore, a cura di Vincenza Alfano, Perché ti ho perduto, breve biografia, appassionata e struggente, della poetessa Alda Merini, un testo naturalmente consigliato a chi ama la poetessa dei Navigli ma anche a chi della Merini sa poco o nulla per la delicatezza con la quale l’autrice accompagna il lettore nel mondo fantastico e visionario di Alda.

Nata il 21 Marzo del 1931, Alda è una ragazzina di dodici anni quando i bombardamenti della Seconda guerra mondiale spazzano via la sua casa di via Mangone a Porta Genova (Milano). Costretta a sfollare a Vercelli, ospite di zii contadini, si improvvisa, con straordinario coraggio, ostetrica per aiutare sua madre, incinta, a partorire il fratello. Il padre e la sorella sono rimasti a Milano. Per tre anni farà la mondina nelle risaie, fino alla fine della guerra.

Nel 1953, a soli 22 anni, sposa un panettiere, Ettore Carniti, ma il suo grande amore è Giacinto Spagnoletti, punto di riferimento della ricostruzione culturale italiana nel dopoguerra: il suo cenacolo domenicale, in via del Torchio 16, sarà per Alda una boccata di ossigeno puro, non solo per la possibilità, altrove negata, di esternare pienamente il suo ardore poetico ma anche per l’espressione finalmente libera del travolgente sentimento tra i due poeti-amanti.

«Che cos’è davvero la poesia? Alda se lo chiede spesso. A volte le sembra di conoscere la risposta. Ma certo, sì. La poesia è la luce che la distrae dalla sua casa, dalla sua vita troppo modesta. La poesia è la malta del loro amore. La poesia è la sua mongolfiera. Altre volte è la maledizione che la spinge a incontrare le proprie ombre, che non la lascia in pace quando vorrebbe conforto dalle parole.»

Alla partenza di Spagnoletti per Roma e all’inevitabile separazione che ne consegue, non c’è conforto, nemmeno quello delle parole. Le parole sono fogli bianchi, macchie di inchiostro, un metronomo impazzito, scissione e, infine, malattia. Perché la si può definire con diagnosi altisonanti ma la malattia di Alda Merini è proprio la poesia. Ed è da questa assoluta consapevolezza che trarrà la forza di resistere a quindici anni di ricovero (con alcuni brevi periodi di remissione) nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano «in una stanza tutta bianca, ai margini del mondo, dove sono tutti persi e un po’ più soli».

L’internamento è una sorta di pellegrinaggio in Terra Santa e con la stessa partecipazione al cammino di una Passione, Vincenza Alfano racconta gli anni del manicomio, l’incontro con gli altri pazienti (indimenticabile Celeste, la pazza della porta accanto, custode di un segreto troppo grande da raccontarsi), il rapporto sempre un po’ limbico coi medici (il dottorino), le terapie, l’esperienza dell’elettroshock, le figlie.

«Chi pensa che il male stia nel manicomio non ha capito niente. Il manicomio è il solo rifugio dal mondo e dal suo dolore. Il manicomio custodisce ogni impeto poetico, l’ispirazione, il suono delle parole che racconta il delirio dell’anima.»

È esattamente questo impeto, questa ispirazione ad attraversare le pagine di Vincenza Alfano, superando tempo e distanza, e arrivando al cuore del lettore persino più di quanto è stata capace di fare la stessa Merini nella sua autobiografia, Diario di una diversa (Rizzoli Editore). Tanto frammentaria e apparentemente distaccata è la prosa di quel libro quanto lirica, evocativa, pindarica addirittura nel suo volare da uno specchio all’altro è questa di Perché ti ho perduto.

Va detto che è Alda Merini stessa a spiegare, nella postfazione di Diario di una diversa, la scelta di narrare l’orrore e la solitudine da una prospettiva confusionaria per indicare che non esiste diacronicità e sincronicità nel dolore, ma solo contemporaneità.

Va compreso che Vincenza Alfano sceglie invece una prospettiva partecipata non solo come omaggio ma soprattutto come mezzo per rendere l’immaginazione un modo per sopravvivere, per rendere, cioè, visibile attraverso le parole quello che in origine era visionario, compiendo quindi un processo inverso che chiama a sé il fantastico per descrivere la vertigine di una donna cocciuta, orgogliosa e coraggiosa.

Intenso, lancinante, profondamente e sinceramente penetrante, Perché ti ho perduto di Vincenza Alfano ha il sapore di una vocazione insopprimibile, la sola che può raccontare una vita come quella di Alda Merini.

 Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

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