Il weekend di Charlotte Wood

Il vero sviluppo non consiste nel lasciarsi qualcosa alle spalle, come lungo una strada. Consiste, piuttosto, nell’estrarre la vita come da una radice primordiale. Consiste nell’acquistare la consapevolezza che, a un certo punto, vivere equivale a esistere, proprio lì, proprio in quel momento. Ben lo sanno Jude, Wendy e Adele, le protagoniste de Il weekend di Charlotte Wood (NN Editore), un romanzo elegante e arguto, caloroso, poetico e sincero.

Jude, Wendy e Adele sono tre amiche settantenni con un compito doloroso e forse persino fastidioso da assolvere: svuotare la casa al mare della loro amica Sylvie, morta ormai da un anno. Siamo in Australia, a Bittoes per la precisione, ed è il weekend di Natale, l’atmosfera frizzante delle feste stride in maniera angosciante con la penosa incombenza di sgombrare gli oggetti di colei che ci ha lasciate per prima. E va da sé che, a una certa età, è impossibile adempiere un tale incarico senza fare i conti con se stessi, con quello che, appunto, si crede di essersi lasciati alle spalle, con il tempo, il tempo che è stato e quello che è rimasto. E nel caso delle tre protagoniste anche con un’amicizia che apparentemente ha resistito all’urto degli anni, ma forse quell’urto ha lasciato crepe pericolose.

Jude, Wendy e Adele, del resto, sono tre donne molto diverse. Diverse nel loro vissuto, diverse nei modi, diverse nell’affrontare la vita, diverse nell’interfacciarsi con la morte, diverse nello sfidare la vecchiaia. Fin dalle prime pagine ci si interroga come abbiano potuto diventare e restare amiche così a lungo e si comprende, altrettanto perspicuamente, che era proprio Sylvie il nodo che le legava e che ancora aleggia su tutte loro.

Jude è stata una maître di sala per quarant’anni. Decisa, determinata, volitiva, da altrettanti anni ha una relazione extraconiugale con Daniel. I suoi modi bruschi e alteri, il suo carattere algido e spigoloso, sembrano metterla un gradino più in alto rispetto alle altre due, quasi fosse la direttrice di quella stramba orchestra di repulisti in cui si trasforma la casa di Sylvie, di sicuro è la più intransigente. Prendiamo il vecchio Finn, ad esempio, il cane che proprio Sylvie ha regalato a Wendy dopo la morte del marito Lance: perché Wendy l’ha portato? Perché Wendy non l’abbatte, cieco e malandato e acciaccato com’è? In casa non può entrare, salire sul divano che lei stessa aveva dato a Sylvie nemmeno a parlarne. È una disperazione, quel cane, un’incomprensibile ostinazione di Wendy. Wendy, appunto…

Wendy è stata insegnante e scrittrice di successo. Moglie innamoratissima, vedova inconsolabile, madre che, come la figlia Claire non si fa scrupolo di sottolineare, «ha fatto quello che poteva con i mezzi a sua disposizione». Un po’ goffa e irresoluta, il vecchio Finny è il suo unico punto fermo, un cane senza futuro nei cui occhi placidi e spenti cerca risposte a domande impossibili.

E, infine, c’è Adele che in passato è stata un’attrice, e ancora crede di esserlo nonostante non interpreti più un ruolo da anni, senza contare che è appena stata sbattuta fuori casa da Liz ed è rimasta senza il becco di un quattrino. La pateticità dei suoi sforzi per far credere agli altri (e in particolare alla sua peggior rivale, Sonia Dreyfus, anche lei in vacanza a Bittoes con il pestifero Coco) di avere sempre una carriera dignitosa sono quasi comici proprio nel loro essere genuinamente pietosi.

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Tra incontinenza, scivoloni, artrite e piccoli lampi di declino cognitivo – le classiche manifestazioni fisiche della terza età, inserite tuttavia con formidabile naturalezza, senza la forzatura del cliché – Charlotte Wood coglie le protagoniste del suo romanzo, per così dire, sul fatto, in una dimensione che le rende reali ancor più che verosimili. Feste improvvisate, incidenti di percorso, tragedie inaspettate, mostrano come la triste realtà è che al fondo di tutte le cose, in fondo alla vita stessa, ci sono sovente piccole, anzi meschine debolezze e ambizioni irrealizzabili e che questo è il nucleo di tutti i rapporti umani, da quelli di coppia a quelli tra amici. Amiche, in questo caso. Il femminile è una chiave interpretativa essenziale, perché al suo interno ingloba tanto il femminismo che la femminilità, realizzando una sintesi altrimenti inammissibile.

Il weekend di Charlotte Wood procede per istinti, associazioni, premonizioni, e non per fatti definiti e conclusi. Azione e reazione spesso si svolgono simultaneamente, oppure la causa può essere individuata solo dopo il suo effetto, e le conseguenze saranno definite per la prima volta solo quando sono cessate ormai da tempo, come il lettore capirà nel finale.

«Nello stesso istante sollevarono una mano per ripararsi gli occhi, con un movimento che Adele aveva visto centinaia, migliaia di volte in quei decenni di amicizia. Le rivide com’erano un tempo, due ragazze animate dalla determinazione e dalla bellezza. Per loro provava un amore inspiegabile. Un sentimento quasi fisico. E sapeva di averle appena liberate da una sorta di maleficio»

L’autrice scrive con mano delicata e pura, ma anche precisa e spietata. L’architettura narrativa che erige è compatta e rigorosa e i personaggi che la abitano sono talmente umani che è impossibile per il lettore non schierarsi con l’una o con l’altra. Persino il modo in cui ci viene mostrato il cane va al di là della mera percezione empatica: oltre all’essere un personaggio a tutti gli effetti, e una quasi ovvia metafora del declino fisico, Finn è il catalizzatore di tutti o quasi tutti gli avvenimenti, la forza centripeta che muove l’azione e la fa progredire in crescendo.

Il weekend di Charlotte Wood è un romanzo sulle donne, sull’amicizia, sul tempo che passa e sulla cosiddetta terza età, ma soprattutto sulle verità che omettiamo e le bugie che inventiamo, sugli errori che sono davvero tali e su quelli che, invece, sono semplicemente utili.

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