Nina, la poliziotta dilettante di Carolina Invernizio

Qualche mese fa su questo blog ci siamo occupate di Galassie Sommerse, una definizione entro la quale abbiamo inserito il patrimonio di scrittrici e pittrici, tutte le artiste donna insomma, trascurate dai vari canoni, manuali, percorsi e strade battute ufficialmente dalla Storia. Tra le scrittrici c’era anche Carolina Invernizio (ve ne abbiamo parlato qui), un po’ a malincuore – va detto – perché, vista la popolarità raggiunta ai tempi, la copiosità della produzione e quella certa curiosità suscitata anche nella critica (Croce e Gramsci non disdegnarono, seppure a modo loro, di occuparsene), il fatto che fosse poi scivolata nell’oblio lasciava qualcosa in più dell’amaro in bocca. Non poteva dunque sfuggirci che la Rina Edizioni avesse – a inizio giugno – ripubblicato uno dei numerosi romanzi della scrittrice di Voghera, nello specifico: Nina, la poliziotta dilettante.

Lanciato come protoromanzo giallo, quantomeno nel paesaggio della narrativa italiana, lasciateci dire che – almeno a parere di chi scrive – Nina, la poliziotta dilettante non è un giallo nella sua accezione più classica, non ne possiede gli stilemi, i narratemi, nulla, insomma, se non un tenue pretesto diegetico. Ciononostante è un romanzo da riscoprire, da leggere (e si legge anche piuttosto avidamente), da godere perché testimone del grande ingegno narrativo di Carolina Invernizio e di una stagione in cui, a dispetto di canoni e precetti della critica letteraria ufficiale, il vero romanzo borghese italiano, ovvero il feuilleton che tanto aveva contribuito negli altri paesi europei alla nascita di una cultura letteraria accessibile, fuori dal Parnaso della cultura d’élite, è quello che proviene dall’inchiostro delle donne.

Carolina_Invernizio

Nina Palma è una giovane orfana, operaia nella Torino giolittiana segretamente fidanzata col conte Carlo Sveglia. Il loro rapporto è ostacolato, oltre che dall’evidente disparità sociale, anche e soprattutto dalla zia del conte, la contessa Eugenia, che tuttavia, su intercessione di Vilda (una ragazza affetta da zoppia che la contessa ha allevato come propria dama di compagnia), accetta di dare il suo benestare alla coppia. È proprio per comunicare la felice notizia a Nina che Carlo si reca a casa della ragazza una notte di settembre, senza sapere che il destino lo attende dietro l’angolo. Appena lasciata la trepidante fidanzata, il conte è, infatti, assassinato. Quando il giorno dopo il corpo viene trovato dalla polizia regia, i sospetti ricadono immediatamente sulla stessa Nina (ma perché? A che pro uccidere l’uomo che ormai stava per sposarla con tanto di consenso da parte della famiglia?) e su Martino Vigna, amico d’infanzia e vicino di casa di Nina. Ecco, lui un movente potrebbe averlo, essendo – com’era – innamorato della bella operaia. Ma a testimoniare sulla sua innocenza ci pensa il signor Luigi, il proprietario della fabbrica in cui Martino lavora. Anche Nina è innocente, ma i tempi della giustizia italiana sotto la monarchia non erano meno farraginosi e lenti di quelli dell’Italia repubblicana e Nina e Martino trascorrono un mese in prigione mentre del vero assassino del conte Sveglia si perdono man mano le tracce.

Proprio il tempo passato in penitenziario sarà per Nina cruciale: lì si formeranno le conoscenze che l’aiuteranno a mettere in pratica il piano che cova dal momento in cui ha saputo della morte dell’amato. Trovare il colpevole ad ogni costo diventa la sua missione di vita una volta fuori e per farlo con maggiore agio non esita a inscenare il proprio suicidio e a trasformarsi in Nanì, il nuovo valletto di casa Sveglia. Perché la sospettata numero uno per Nina è proprio la contessa Sveglia. Inizia da qui una trama fitta di colpi di scena e intrecci, di suspense e misteri le cui radici si perdono nel torbido passato dei personaggi che torna a riscuotere il suo debito col presente, personaggi che si affollano sulla scena con grande equilibrio, ognuno con la sua storia, il suo peso specifico nell’economia della narrazione, il suo tassello di verità da raccontare, e solo quando tutti i pezzi si saranno incastrati la realtà assumerà i suoi contorni più nitidi e la verità trionferà sulla messe di inganni e sotterfugi.

Ed è proprio questo riportare l’ordine nel fitto caos dell’intreccio che può fare accostare  Nina, la poliziotta dilettante di Carolina Invernizio al genere giallo. Le atmosfere ci sono, la morte violenta di origine sconosciuta pure, l’angoscia della ricerca del colpevole anche, la pulsione di sapere. Manca, invece, la detection vera e propria, l’indagine poliziesca. C’è, al suo posto una pioggia di tracce, apparenze e circostanze, agnizioni, epifanie, tipiche del feuilleton, ma la rivelazione vera e propria arriva ex-abrupto con la protagonista (e non solo lei) strumento e intermediario per la verità.

La scrittura di Carolina Invernizio è lussureggiante, lo stile istrionico, adrenalinico. Qui niente e nessuno è superfluo, un magistrale gioco di intarsi, sbalzi e ceselli, un lavoro di fino sulla struttura della trama, con l’artificio letterario che serve a stimolare il lettore attraverso situazioni evocative, personaggi complessi, conflitti e conclusioni.

Del resto, bisogna sempre ricordare che i lettori vogliono sognare e, al contempo, vogliono vivere un romanzo come fosse reale, e in questo senso esistono in due dimensioni – quella della storia e quella realtà. La perfetta comprensione di questo meccanismo è la vera grandezza di Carolina Invernizio, un’attitudine, un talento naturale che sarebbe logico riconoscere nel canone della letteratura italiana. Ma va bene anche conoscerlo leggendo le sue opere, come questo romanzo, Nina, la poliziotta dilettante.

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