Leggere Papà Gambalunga di Jean Webster dopo i quarant’anni mi ha portato a chiedermi se la cosiddetta letteratura per l’infanzia sia poi qualcosa di precluso superata una certa soglia d’età. Di sicuro l’edizione critica pubblicata dalla Caravaggio Editore sembra sfatare questa obiezione, inquadrando la storia di Jerusha Abbot e del misterioso benefattore che le permette di completare la sua istruzione al college tra una minuzie di note che contestualizzano il periodo storico, la temperie sociale e culturale, oltre alle scelte di carattere linguistico-lessicale legate alla traduzione, dettagli che si apprezzano decisamente molto di più con l’esperienza.
Jerusha Abbot è una trovatella, abbandonata in fasce dai suoi genitori. Non sa nulla della sua famiglia: il suo cognome è stato preso a caso dall’elenco telefonico (Abbot è nella prima pagina) e il suo nome da una tomba del vicino cimitero. Alla soglia dei 18 anni, terminate le scuole superiori, la ragazza sembra ormai destinata a rimanere nell’orfanotrofio come istitutrice, non fosse per un ignoto e ricco membro del consiglio dell’istituto, colpito dal suo talento nello scrivere e che decide di diventare suo tutore, offrendole la possibilità di frequentare il college. L’anonimo benefattore desidera però rimanere ignoto: si farà chiamare, per comodità, John Smith e delegherà tutto al suo segretario. Pone, tuttavia, una curiosa condizione: Jerusha è tenuta a scrivergli scrupolosamente per tenerlo aggiornato sui suoi progressi nello studio. Ma prima che l’eccentrico filantropo lasci l’Istituto John Grier, Jerusha riesce a vedere la sua ombra proiettata sulla parete: la forma allungata e le gambe molto sottili le suggeriranno il soprannome di Papà Gambalunga.
E sarà proprio a Papà Gambalunga che indirizzerà la sua periodica corrispondenza una volta al college femminile, descrivendogli nel dettaglio i quattro anni a venire, la scuola, lo studio, il processo di socializzazione e integrazione con le altre ragazze, in particolare Sallie McBright e Julia Pendleton, che diventeranno anche sue compagne di stanza. Nel frattempo Jerusha ha deciso anche di cambiare nome in Judy, alla ricerca della costruzione di un’identità personale che non ruoti esclusivamente sulle sue origini e sull’Istituto Grier. Sarà anche un percorso di acquisizione di una certa consapevolezza di sé, dei suoi desideri, del suo ruolo di donna nella società medio-alta borghese americana di inizio XX secolo:
«Questo è un paese terribilmente inefficiente che spreca una cittadina così onesta, educata, coscienziosa, intelligente come me»
Contemporaneamente si sveglierà anche il suo lato più squisitamente femminile, un lato che finirà per affascinare sia Jimmy McBright, fratello maggiore di Sallie. che Jervis Pendleton, lo zio di Julia, l’affiatamento con il quale è contrastato dalla perfetta cognizione, da parte di Judy, della grande disparità sociale tra loro.
Ma la storia è percorsa soprattutto dal mistero sulla vera identità di Papà Gambalunga: Judy vorrebbe incontrarlo per conoscerlo, ma per qualche ragione che lei non capisce, lui non acconsentirà mai. La rivelazione arriverà, ovviamente e inaspettatamente, all’ultima pagina, quando Judy ormai laureata, scoprirà la verità su Papà Gambalunga.
Pubblicato per la prima volta a puntate sul Lady’s Journal nel 1912, Papà Gambalunga di Jean Webster è un romanzo epistolare che ha mantenuto intatta la sua popolarità nel tempo anche grazie alle trasposizione cinematografiche (ricordiamo, tra le altre, Riccioli d’oro, film del 1935 con la famosissima Shirley Temple, e l’omonimo musical con Fred Astaire e Lesley Caron del 1955) e televisive: molti conosceranno il cartone animato degli anni Novanta (che ha decisamente influito sull’immaginario collettivo di Judy &co)
Come si diceva al principio, la mia principale perplessità nell’approcciarmi a questo romanzo (fatta all’interno di un gruppo di lettura) era il rapporto della storia con la mia età anagrafica, decisamente un assurdo pregiudizio nato dal fatto che, per ragioni che non sto qui a spiegarvi, ho quasi completamente saltato la fase delle letture cosiddette per ragazzi, passando – letteralmente ‒ dalle fiabe dei fratelli Grimm a Delitto e Castigo di Dostoevskij. Negli anni successivi ho cercato di recuperare, ma ogni volta con tanti dubbi e diffidenze. Di sicuro la penna della Webster è fatta per un pubblico di lettori in formazione: Papà Gambalunga è una storia densa di motivi e temi dedicati al ruolo della donna, al suo diritto all’emancipazione (non solo economica), all’istruzione, all’autodeterminazione. Si potrebbe persino parlare, a mio personale parere, di romanzo protofemminista con in più la marcia dell’ironia, del brio, della vivacità e della spigliatezza dello stile dell’autrice, che punta così i riflettori su assunti importanti con leggerezza. Da questo punto di vista, dunque, Papà Gambalunga può essere approcciato a qualunque età, naturalmente con un grado di comprensione e discernimento variabile ma non meno interessante.
La forma epistolare, invece, rende la lettura davvero troppo semplice. La Webster qui è parca di approfondimenti: situazioni, personaggi, emozioni, tutto scivola tra le righe di Judy con un eccesso di semplificazione e fluidità perfetto per un adolescente ma che lascia nel lettore più adulto il senso di una certa superficialità, genericità, inconsistenza.
E tuttavia è una lettura che consiglio trasversalmente, magari proprio in questo periodo estivo, per riflettere con levità e delicatezza sull’educazione, la realizzazione, la maturazione della donna. E anche sull’amore. Ça va sens dire.