La casa sfitta di Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins, Adelaide Anne Procter

Ai tempi in cui Charles Dickens era direttore dell’Household Words, era solito fare una sorta di strenna natalizia ai lettori. Quella del 1858 (l’ultimo anno, peraltro, di collaborazione dello scrittore inglese con la rivista) fu un breve romanzo in quadri, La casa sfitta, scritto a otto mani dallo stesso Dickens insieme a Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell e la poetessa Adelaide Anne Procter, tutti autori orbitanti nella stessa cerchia di artisti e intellettuali nell’Inghilterra vittoriana. Un romanzo che ha aspettato circa 150 anni prima di poter essere letto anche nel nostro paese grazie all’intuizione editoriale della Jo March Edizioni e alla bella traduzione di Camilla Caporicci, Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci.

Facciamo, per prima cosa, chiarezza sulla definizione di romanzo in quadri: La casa sfitta si compone di una serie di capitoli, scritti ciascuno da uno (o più di uno, come è il caso del capitolo di apertura – Al di là della strada – composto da Dickens e Collins insieme) autore per riempire la cornice narrativa della storia. Nel caso del contributo della Gaskell Il matrimonio di Manchester – possono fungere anche da racconti autonomi come dimostra il fatto che lo stesso sia stato pubblicato da Passigli come libro a sé stante. Anche la parte della Procter (Tre sere nella casa), in versi, può vivere di vita propria, mentre non c’è dubbio che Ingresso in società (Dickens), Il rapporto di Trottle (Collins) e Finalmente affittata (Dickens e Collins di nuovo insieme) si riconnettono immediatamente all’intelaiatura preparata dall’incipit.

 

Alla anziana signorina Sophonisba viene consigliato di trasferirsi temporaneamente a Londra da Tunbridge Wells come forma di ricostituente («Brio, signora, brio, è tutto quello di cui avete bisogno!») e nella vasta topografia della capitale le capita di prendere in affitto una casa il cui unico difetto è quello di essere situata di fronte a una casa sfitta e, apparentemente, senza possibilità di essere affittata, non tanto per le pessime condizioni in cui versa quanto perché su di essa sembra gravare una maledizione. Eppure, per essere una casa disabitata, a Sophonisba sembra, un giorno, di vedere il riflesso di un paio di occhi alla finestra:

«Tutt’a un tratto – alla finestra del primo piano, sulla mia destra – in un angolo basso, attraverso un buco in una persiana o una tapparella – mi accorsi di star guardando un occhio nascosto. Il riflesso del mio fuoco l’aveva toccato, e fatto scintillare; ma lo vidi brillare solo un attimo e poi svanire».

Tanto basta per scatenare la curiosità della nostra protagonista che attraverso l’ineffabile assistenza di due aiutanti, l’un contro l’altro armati (ovvero il fedele domestico Trottle e lo storico pretendente Jarber) si metterà all’opera per stabilire, una volta per tutte, la verità sulla casa sfitta. Trottle e Jarber si inventano investigatori e si sfidano a colpi di manoscritti, documenti, attestazioni varie sulla vita e la storia dei precedenti abitanti della casa, tutti più o meno colpiti da un’inspiegabile sorte avversa, tutti infelici e oppressi, a iniziare dallo stesso proprietario – George Forley – che si scopre essere nientemeno che il cugino di primo grado della stessa Sophonisba, uomo crudele, padre spietato e recentemente colpito da improvvisa malattia.

Attraverso i resoconti dei due cavalieri/investigatori conosceremo le vicende degli Openshaw, di Toby Magsman e del nano Chops, della misteriosa Bertha e le sue tre vigilie di Natale nella casa, fino ad arrivare alla sorprendente realtà dei fatti e a un’inattesa conclusione.

La coralità autoriale non influisce sulla fluidità della narrazione che mantiene, invece, un ritmo sostenuto per l’intero tragitto diegetico, il ritmo proprio della sensetional novel che fin dal principio La casa sfitta voleva essere. Il tono e lo stile, al contrario, sono segni tangibili della personalità dello scrittore/scrittrice di turno: dal gotico al brioso, dal moraleggiante al poetico, ogni capitolo ha un’anima, ogni pagina scorre sotto gli occhi del lettore avvincente ed emozionante, come quegli occhi che dalla casa sfitta guardano Sophonisba in cerca di una soluzione.

Cos’erano – gioia o dolore?

Cos’erano – speranze o paure?

A infiammarle di rosso le guance,

A riempirle di lacrime gli occhi?

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