Operazione Athena di Luigi Irdi è uno dei titoli con cui la Nutrimenti Edizione ha deciso di ripartire dopo lo stop forzato dallo scattare delle strette misure di contenimento anti-covid. Si tratta di un giallo psicologico dove a contare più di tutto è il delicato dosaggio tra la sonnacchiosa tranquillità della minuscola cittadina portuale di Torre Piccola e l’angoscia sottile, senza eccesso di orrore, che suscita una morte violenta di origine ambigua che porta per conseguenza logica (oltre che legale) la ricerca di una risposta all’interrogativo: chi è stato? Risposta delegata, com’è ovvio che sia, alle indagini del sostituto procuratore Sara Malerba e del maresciallo dei Carabinieri Elvio Berardi.
Lui, il morto, è Francesco Ramarri di origini materana. Un gran bel pezzo di ragazzo, a quanto dicono le donne in paese e anche a quanto riesce – seppur solo sul tavolo dell’obitorio – a constatare la Malerba (ma allora le misure contano? È un interrogativo che il lettore farà bene a tener presente senza malizia ma con la pacifica ponderatezza del Berardi, per cui «essere uomini è una fatica d’inferno. […] È fatica e dovere»). Il Ramarri, dunque, lavorava come saldatore al cantiere Ostro, dove è in costruzione l’avveniristica nave da crociera Athena Museàl ed è caduto dal quinto piano delle impalcature su un segmento verticale di tubo. Semplice incidente o suicidio? Troppe cose, tuttavia, non quadrano. Dai tatuaggi sul corpo della vittima, alle riproduzioni dei macchiaioli trovate in casa sua, all’assoluto mistero che avvolge la sua vita. C’è una donna, o forse più di una; c’è la sua vita precedente a Matera, Carlo Levi e quadri che non dovrebbero esistere o quanto meno nessuno dovrebbe conoscere. C’è un giro d’affari, banchieri e armatori (esteri) che spingono affinché Malerba archivi il caso permettendo il varo della nave; c’è un falso referto medico e una specie di Dottor Stranamore con le sue maschere africane e le teorie sul cubismo e su Picasso. E poi un ritrovo di cingalesi e una truffa sui bollini della Coop. Può essere troppo o troppo poco. Può esserci un filo che unisce tutti gli indizi oppure possono esserci tanti fili che tessono una trama solo apparentemente bizzarra.
Sara Malerba ed Elvio Berardi sono incaricati di trovare l’anello che non tiene, il filo giusto che porta alla verità, a fare chiarezza tra «senso e dissenso» oltre le contraddizioni del caso.
«Le cose hanno un senso, aveva detto il professore, e su questo Malerba non era sicura di essere del tutto d’accordo. […] La teoria del dissenso, arzigogolò, era che coloro che violano le regole sono destinati nel lungo periodo alla celebrazione.»
Ma se la legge è il senso e il reato è dissenso, com’è possibile trovare un punto d’equilibrio tra senso e dissenso? Bisogna cercare, allora, il senso delle cose ma lontano dalla logica, nascosto tra un campanile sghembo e un frammento di colore, «il colore del mio amore»
La definizione di giallo psicologico, come si può vedere, calza a pennello. Sorretta, se non bastasse il resto, da una solida costruzione dei personaggi, molto più realistici di semplici caratteri narrativi; complessi, questo sì, persino al limite del maniacale: Malerba porta con sé un quaderno rosso su cui si appunta tutti i titoli di film con relativo regista e anno di uscita che persone o situazioni contingenti il suo mestiere possono suggerirle. E intanto intrattiene lunghe conversazioni con la madre morta. Berardi è un filosofo metropolitano molto politically uncorrect, sornione, che affronta il mestiere come una partita a scacchi (ma con sempre una mossa di vantaggio). Ecco, questi due ‒ Malerba e Berardi ‒ sanno di autenticità proprio per il loro essere eccezioni in un panorama narrativo che vuole, invece, personaggi eccezionali (quasi) ad ogni costo.
Operazione Athena di Luigi Irdi è un romanzo minuziosamente congegnato sia per essere un bel giallo all’italiana (epifanie, colpi di scena, suspense, subplot, tensione e ritmo non mancano e sono, anzi, uno più intrigante dell’altro), sia perché tra un indizio e l’altro, la mente del lettore non mancherà di essere impegnata in riflessioni che sembrano semplici e che invece semplici non lo sono per niente, trovando, magari la forza di ripensare ai propri rapporti con gli altri (o anche solo al rapporto lettore-autore) anche attraverso le parole che si usano.
«Sì, lo so cosa sta pensando in questo momento, maresciallo. Che sono una rompiballe un po’ frustrata e che non si capisce che differenza faccia se lei mi parla di problemi o problematiche e di modi o di modalità e invece, creda a me, fa una grandissima differenza. In primo luogo perché abbiamo una lingua, l’italiano, che va rispettata, e poi perché le parole che lei mi rivolge definiscono anche i nostri rapporti».