C’è un curioso aneddoto dietro la pubblicazione, nel 1929, di David Golder da parte di Iréne Nèmirovskij. Pare che l’editore Bernard Grasset dopo aver letto il manoscritto in una notte si mise alla furiosa ricerca dell’autore, stupendosi poi di trovarsi di fronte la giovane Iréne. Troppo maturo e allo stesso tempo audace e brillante era il breve romanzo per credersi che fosse frutto della penna di una donna. Tanto che in un giornale francese dell’epoca si scrisse: «David Golder porta la firma di una donna, si deve quindi riconoscere che è scritto da una donna». Ma chi è David Golder?
Tutto ha inizio con una conversazione tra Golder e il suo socio Simon Marcus. Assieme hanno fondato la ditta Golder & Marcus, “Golmar”, con sedi a New York, Londra, Parigi e Berlino. Marcus, tuttavia, negli ultimi tempi continua a sbagliar colpi e, per ultimo, ha fatto un investimento troppo rischioso tentando, per sovrappiù, di imbrogliare Golder che comunque lo ha scoperto e, anticipando le sue mosse, l’ha liquidato. Quella notte stessa Marcus si suicida in un bordello. Dopo aver partecipato al funerale dell’ex socio, Golder si reca a Biarritz, dove sono in villeggiatura la moglie e la figlia diciottenne Joyce. Durante il viaggio in treno ha un primo attacco di cuore che lo lascia spossato e, per la prima volta nella sua vita, sperimenta la paura di morire. A Biarritz, non trova solo la moglie Gloria e la figlia Joyce, ma tutta una congerie di personaggi che le circondano, tra cui Hoyos, l’avventuriero spagnolo che, da decenni, è l’amante della moglie, e Alec, un principe in disgrazia, amico di Joyce, di professione gigolò, che la corteggia. Subito ha un altro attacco di angina pectoris da cui si riprende a fatica. Il medico suggerisce alla moglie di avvertirlo che non potrà più affaticarsi. Ma questa – che lo vede solo come una macchina per fare soldi – lo rassicura falsamente e lo incita a continuare e a riprendere gli affari. Dopo l’ennesimo litigio con la moglie, Golder decide di abbandonare definitivamente ogni cosa, chiudere con la famiglia e con gli affari. Sapere che la figlia si è venduta a un suo vecchio concorrente in affari, lo convince però ad accettare un’ultima sfida…
Un’avvincente breve lettura semi-autobiografica, David Golder è il primo romanzo della Nèmirovskj e le valse sia il plauso della critica che l’accusa di antisemitismo per la spietata osservazione dell’etica lavorativa da parte dei grandi finanzieri di origine ebraica. È anche la dimostrazione che i buoni romanzi non hanno bisogno di personaggi positivi per intrattenere e illuminare. Tutti i personaggi di questo libro sono una estremamente negativi, quasi caricaturali nella loro schiavitù al denaro, tranne forse per il giovane ebreo che è l’ultimo a vedere Golder vivo.
Golder ha lo spessore di un personaggio tragico, senza scrupoli nella sua spinta ad acquisire ricchezze su ricchezze, ma è anche l’unico che intuisce la natura fugace dei beni materiali, mentre i suoi familiari spendono generosamente, tradiscono, e considerano la sua malattia solo come un noioso inciampo che rallenta la sua capacità di generare profitti.
Capitoli brevi, dialoghi incisivi che assomigliano a battute di una commedia nera ma che dipingono efficacemente azione e personaggio, una trama serrata che scorre verso il suo inevitabile epilogo, e le gratificazioni del cuore in fallimento di Golder, afferrano il lettore in una storia che si lascia leggere pagina dopo pagina.
«David Golder è un libro che gronda odio, soprattutto verso il denaro e tutto ciò che può essere trasformato in denaro, oggetti e sentimenti, e verso le forme infinite che il denaro può assumere. Oggi, non ci rendiamo conto di cosa sia stato il denaro nel diciannovesimo secolo, o nella prima parte del ventesimo: una fiamma ardentissima, una colata di sangue disseccata, sbarre d’oro sciolte e di nuovo pietrificate. Diventava eros, pensiero, sensazioni, sentimenti, fango, abisso, potere, violenza, furore, come nella Comédie humaine… David Golder è un libro durissimo e secchissimo, che incide di continuo terribili ritratti, che in parte ricordano la memorialistica e la tradizione aforistica francese»
Pietro Citati