Il grande sonno di Raymond Chandler

Il grande sonno è il primo romanzo di Raymond Chandler in cui appare la figura del detective privato Philip Marlowe. Pubblicato per la prima volta nel 1939, è stato recentemente riproposto in Italia da Adelphi con la nuova traduzione di Gianni Pannofino.

Con questo romanzo siamo chiaramente in territorio hardboiled, che non è una parolaccia, ma proprio un genere – o sottogenere – letterario.

L’affermazione di Marlowe verso la fine del libro:

«Io non sono Sharlock Holmes, né Philo Vance. Non ho l’abitudine di seguire le orme della polizia alla ricerca di una punta di penna spezzata su cui fondare la soluzione del caso»

è quasi una piccola dichiarazione d’intenti: non solo avvisa il lettore che è di fronte a un tipo diverso di investigatore, ma che anche che le atmosfere, spesso placide e soffuse della detective novel classica, vanno in una direzione diversa. Sono più cupe, fumose, violente, l’ambientazione è cittadina (Los Angeles, in questo caso), i protagonisti sono sfrontati, freddi, irriverenti, i personaggi sono uomini e donne che da ultimi vorrebbero, seppur illegalmente, emergere; il sesso è più o meno esplicito. Sono questi gli elementi topici che accompagnano l’inchiesta in questo filone narrativo.

Ma veniamo alla trama: l’investigatore privato Philip Marlowe viene assunto presso la villa di un facoltoso generale paraplegico in pensione, Sternwood, che gli chiede di condurre delle indagini a proposito di un biglietto ricattatorio inviatogli da un certo Arthur Geiger, titolare di una libreria antiquaria in cui si fa riferimento a una cambiale firmata a Geiger da Carmen, la figlia minore di Sternwood. Nel corso del colloquio emerge anche che Rusty Regan, marito della figlia maggiore, Vivian, è scomparso da circa un mese senza lasciare traccia.

Marlowe accetta l’incarico e prima di lasciare la villa incontra l’affascinante Vivian, sicura che la ragione per la quale il padre si è rivolto a Marlowe sia proprio rintracciare il marito. Il detective inizia le indagini partendo proprio dalla libreria di Geiger e scoprendo subito che, in effetti, è solo un’attività di facciata per nascondere un traffico di materiale pornografico. Pedinando Geiger fino a casa sua, si trova ad assistere all’omicidio dello stesso. Non bastasse, durante l’irruzione nell’appartamento del sospettato trova Carmen Sternwood nuda e visibilmente sotto l’effetto di droga.

È solo il primo di una serie di altri delitti, e nella mente di Marlowe si fa sempre più salda l’idea che  la catena di omicidi sia legata in qualche modo alla scomparsa di Rusty e ai traffici illegali di Eddie Mars, il proprietario del casinò dove Vivian sperpera il denaro di famiglia. Ma in quale modo le cose sono collegate? E qual è il ruolo della capricciosa, viziata e spregiudicata Carmen in tutto questo?

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Il ritmo è naturalmente ancora più incalzante che nella detection classica. Non ci sono pause, è un continuo susseguirsi di eventi che a volte si assommano, a volte si contraddicono, di sicuro mantengono sempre alta la suspense del lettore. Anche i dialoghi hanno una cadenza ritmica molto serrata, oltre che una misura sarcastica più che ironica, che stempera leggermente l’altissima tensione narrativa. Ne è un esempio lampante lo stesso Marlowe, che sforna battute memorabili. Ha un passato da assistente del procuratore (che gli assicura agganci all’interno del sistema), ma è troppo insofferente alle regole; soprattutto è un incallito bevitore in un’America appena uscita dai proibizionismo, amante del bel sesso, a prima vista egoista, ma anche appassionato del suo lavoro cui dedica un’abnegazione che va al di là del semplice guadagno, come vediamo proprio in questo romanzo.

«Lei non ha idea di quello che ho dovuto passare, e di come l’ho passato, per portare a termine l’incarico. Io lavoro a modo mio»

Avevo provato a leggere per la prima volta Il grande sonno di Raymond Chandler qualche anno fa (edizione Feltrinelli) lasciandolo impietosamente a metà: troppo legata al giallo classico, queste atmosfere e questi personaggi mi stordivano. Ho voluto riprovare (e non solo perché questa volta si trattava di un Adelphi), e per una buona metà del libro le sensazioni non erano molto dissimili da quelle provate la prima volta, il che implica che la riuscita di un libro non è solo questione di traduzioni, come molti episodi nella recentissima storia editoriale (che proprio in questi ultimi mesi ha visto il rinnovarsi di editori e traduttori in romanzi a volte talmente scolpiti nell’immaginario del lettore da sfociare in vere e proprie faide tra pro e contro) sembra voler affermare, ma di perseverazione. A volte a determinare la riuscita di un libro siamo proprio noi lettori che dobbiamo imparare a insistere con noi stessi, spogliarci dei nostri preconcetti, uscire dalla nostra confort zone e andare avanti.

In questo caso ho trovato che la seconda metà de Il grande sonno riserva talmente tante sorprese e capovolgimenti di fronte da incollarmi letteralmente alla pagina.

Il mio consiglio? Leggere, rileggere, tentare, riprovare. Talvolta è buona la seconda.

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