Buongiorno lettori e benvenuti al primissimo appuntamento della mia rubrica dedicata alla letteratura giapponese! Come vi ho scritto su instagram qualche giorno fa, questa rubrica si articolerà in recensioni di 10 libri di letteratura giapponese, cadenzati circa una volta ogni tre settimane (poi dipenderà dagli impegni e dalla velocità di lettura). I 10 libri saranno di 10 autori differenti. Il primo è Durian Sukegawa (Tokyo 1962, poeta, scrittore e clown, ha due lauree, una in Filosofia orientale e una in Pasticceria del Giappone) con il suo Le ricette della signora Tokue edito in Italia da Einaudi nel 2018.
Il protagonista del romanzo è Sentaro, un uomo con un passato turbolento alle spalle: anni prima, infatti, era stato invischiato nella mafia giapponese e nello spaccio di droga. Costretto al carcere, un suo collega nel traffico illecito, scampato alla prigione perchè mai denunciato, gli aveva pagato la cauzione per uscire. Per ripagare il debito Sentaro comincia a lavorare nel suo negozietto di Dorayaki, Doraharu. La sua vita viene scandita da lavoro, alcol e casa, con il continuo inseguimento del proposito di ripagare la titolare del negozio, rimasta vedova, e di uscire dal circolo dei dorayaki.
Un giorno una vecchietta legge l’annuncio di lavoro fuori dal negozio e si presenta per chiedere il posto. Sentaro osserva la donna che si trova davanti: Yoshii Tokue è piccolina, le dita deformate, il peso degli anni sulle spalle. L’uomo decide di rifiutare il suo aiuto, almeno fino a che la donna non gli fa assaggiare la sua speciale an (la marmellata di fagioli azuki utilizzata in Giappone per il ripieno dei dorayaki). Sentaro, abituato quasi sempre a comprare salsa industriale, si trova costretto ad ammettere la bontà di quella marmellata e decide di assumere Tokue, purchè rimanga nascosta dai clienti e dalla titolare del negozio, che si presenta una volta a settimana per controllare i conti.
Inizia il lavoro a Doraharu: i due si incontrano quasi tutti i giorni alle 6 del mattino, puliscono i fagioli rossi azuki, controllandoli, mettendoli a caramellare con lo zucchero sul fuoco, fino ad ottenere la giusta consistenza e dolcezza per andare a riempire i dischi di pan di spagna. I dorayaki richiamano i clienti e gli studenti che attraversano la via commerciale: tra questi c’è Wakana, una ragazza che arriva sempre in solitaria e che fa amicizia con Tokue, che inizia a rimanere sempre di più in negozio per parlare con i giovani.
Sembra tutto andare bene, almeno fino a quando viene scoperta la malattia di cui la signora Tokue ha sofferto decine di anni prima: il morbo di hansen.
Attraverso questo romanzo veniamo a conoscenza di una realtà molto dura: il morbo di hansen, comunemente conosciuto come lebbra, rappresentava uno stigma sociale definitivo per le persone che lo contraevano. Appena comparivano i sintomi della malattia, il contagiato veniva allontanato e rinchiuso in un sanatorio, cambiava anche il suo nome, perchè quello originario veniva cancellato dalla famiglia, era una vergogna che un parente fosse lebbroso. Una volta rinchiuso veniva spogliato e tutti i suoi averi bruciati, perchè considerati possibile mezzo di contagio: il dolore, la sofferenza, la solitudine e la prigionia erano sensazioni ed emozioni costanti nei pazienti, che non morivano per la malattia, perchè la lebbra non è mortale, ma crea malformazioni, colpisce la pelle e gli organi periferici. E una volta che i malati guarivano non potevano comunque tornare nel mondo, nella società, almeno fino al 1996, quando, in Giappone, fu approvata una legge che permetteva loro di lasciare finalmente il sanatorio.
Per tanti comunque la possibilità di andarsene non sempre voleva dire un ritorno alla società: in un Paese dove la tua famiglia ti rinnega, dove la malattia ha lasciato i segni sul tuo corpo, dove la gente ha paura alla tua vista, rifarsi una vita era difficile.
Con grande sensibilità e realismo apprendiamo delle conseguenze di questa malattia in coloro che ne hanno sofferto, grazie alla penna di Durian Sukegawa che denuncia questa parte di Storia giapponese addolcendola con l’an di fagioli azuki e con quell’amicizia che può legare delle persone completamente diverse, ma ugualmente sole.