Un po’ provocatoriamente mettiamo Cristina Trivulzio di Belgioioso come ultima stella di queste galassie sommerse, e non solo per ragioni cronologiche (nacque nel 1808). Galassia lo è stata, o almeno una se ne formò intorno a lei; sommersa un po’ meno. Oltre a essere citata nell’Enciclopedia delle donne, in rete è possibile rintracciare un intero sito a lei dedicato: www.cristinabelgioiso.it. Sulla sua figura, inoltre, è incentrato Noi credevamo film del 2010 del regista Mario Martone.
Il suo nome, la sua attività di instancabile tessitrice di trame politiche, la sua rocambolesca esistenza che la portarono a espatriare per riparare a Parigi a seguito delle accuse di cospirazione mossele dalla polizia austriaca sono indissolubilmente legati ai moti indipendentisti dell’Italia del Risorgimento, di cui – per molti – è da considerarsi se non madre quantomeno madrina.
Nata nell’aristocratica famiglia milanese dei Trivulzio, sposò sedicenne il principe di Belgioioso, dal quale si separa dopo solo quattro anni di matrimonio, pur mantenendo sempre una certa intimità di rapporti. Educata nella schietta tradizione liberale lombarda, diviene dominatrice della scena intellettuale e punto di riferimento per i patrioti italiani dispersi in Europa, dopo che le sue stesse inclinazioni cospiratorie la costrinsero ad abbandonare il Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Fu prima a Genova e poi a Parigi. Finanziò i movimenti di liberazione italiani e rientrò a Milano per sostenere le cinque giornate, insieme a una piccola armata di 150 soldati da lei stipendiati per combattere contro gli austriaci. Carlo Cattaneo la definì nel 1860 la “prima donna d’Italia”. In questo senso, all’interno delle nostre galassie sommerse, la “prima donna d’Italia” viene presentata come ultima. Ecco la provocazione.
Sotto il profilo strettamente culturale, fondò e diresse numerosi giornali rivoluzionari (La Gazzetta Italiana) e scrisse opere storiche incentrate sulla Prima Guerra d’Indipendenza, in particolare raccontò il 1848 a Milano e Venezia. Il volume Il 1848 a Milano e Venezia è stato oggi ristampato da Feltrinelli Editore: una prospettiva inedita di un fatto storico di importanza capitale, il punto di vista di una donna che visse in prima persona l’ideale unitario:
«Ho assistito al dramma che si è appena svolto in Italia e alla catastrofe le cui conseguenze pesano sull’infelice paese. Percorrendo la penisola da un capo all’altro, ho sentito narrare in cento modi differenti fatti di cui ero stata io stessa testimone. […] Appunto per fare un racconto esatto di quegli avvenimenti, prendo la penna. La mia testimonianza non sarà accettata, oggi, da tutti: soprattutto troveranno comodo ricusarla quelli cui è poco favorevole. Eppure, presto o tardi, ci si accorgerà che ho riportato i fatti senza alterarli e che, scrivendo, non ho avuto per scopo il trionfo di una tesi preconcetta. La verità ha un accento che non si può simulare né, quando c’è, misconoscere.»
Paradigma di tutti i misconoscimenti e i preconcetti verso la penna femminile quali li abbiamo già trovati nelle altre donne misconosciute e ricusate dalla Storia. Letteraria, questa volta. E, a proposito di letteratura, oltre a opere di divulgazione storica e sociale (ricordiamo, tra gli altri, Politica e Cultura nell’Europa dell’Ottocento, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e sul suo avvenire, Sulla moderna politica internazionale. Osservazioni), ella fu anche autrice di alcuni romanzi sempre a sfondo storico-patriottico. È il caso di Rachele, romanzo di un “amore rivoluzionario” che ruota intorno alle vicende di una famiglia di contadini nel periodo dei moti di Milano, sviluppando una serie di tematiche care all’autrice: la condizione femminile, la mentalità antiquata della famiglia patriarcale, il pensiero cattolico, la Chiesa e la situazione dei rifugiati negli anni del Risorgimento italiano.
E ancora Emina, storia di una pastorella data in sposa ancora bambina a un bey, che si trova ad affrontare senza sapersi difendere, l’ostilità della prima moglie del bey. Il romanzo è frutto delle esperienze maturate durante i suoi viaggi in Oriente, così come Un principe curdo, un classico romanzo d’appendice, con in più, tuttavia, l’inconfondibile intelligenza e ironia dell’autrice, che trasformano il racconto nell’occasione per conoscere un popolo, la sua storia e la sua cultura, e per sfatare miti e pregiudizi.
Morì nel 1871, lo stesso anno in cui l’unità d’Italia si compì (quasi) definitivamente. Ma la strada per l’affermazione della donna sotto il profilo sociale, politico e culturale era ancora lunga da percorrere nonostante i suoi primi, decisivi, passi.