#GalassieSommerse: Carolina Invernizio

Carolina Maria Margarita Invernizio nacque a Voghera nel 1851, nonostante lei preferisse accreditare il 1858 come data di nascita ufficiale. Nel 1865 la famiglia si trasferì a Firenze, che proprio in quell’anno era divenuta la capitale del Regno d’Italia in attesa dell’annessione di Roma, ancora sotto l’amministrazione pontificia. A Firenze, Carolina frequentò l’Istituto Tecnico Magistrale, rischiando l’espulsione a causa della pubblicazione di un suo racconto sul giornale della scuola, Amore e morte, segno precoce non soltanto della sua vocazione letteraria ma anche dei temi che divennero poi propulsori della sua narrativa, temi cioè grondanti sentimentalismo, melensaggine, leziosità, gusto per il mistero, un pizzico di gotico: i classici ingredienti del feuilleton, insomma, che intraprese nel 1876 con la pubblicazione della novella Un autore drammatico.

Nel 1881 sposò Marcello Quinterno, ufficiale dei bersaglieri, dal quale ebbe la figlia Marcella. Col marito si trasferì prima a Torino e poi a Cuneo, dove Carolina aprì il suo salotto di via Barbaroux a intellettuali e a personaggi della cultura, come recita la targa commemorativa posta sulla sua casa.

«In questa casa Carolina Invernizio il 27 novembre 1916 chiude l’operosa esistenza fra il signorile salotto e i romanzeschi fantasmi»

Nel 1877 uscì il primo romanzo, Rina o L’angelo delle Alpi, pubblicato dall’editore fiorentino Salani inaugurando la cosiddetta collana della Biblioteca per signorine e con il quale trent’anni dopo si legò in esclusiva, nel corso di una quarantennale carriera durante i quali videro la luce ben 123 opere, molte delle quali pubblicate a puntate, su riviste e giornali. Ricordiamo, tra gli altri, Il bacio d’una morta (1886), La sepolta viva (1896), L’albergo del delitto (1905), Il cadavere accusatore (1912).

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Carolina Invernizio, con le sue trame intricate, dalle tinte fosche e l’approssimativa verosimiglianza, può essere a buon diritto considerata la regina del romanzo d’appendice italiano, una paraletteratura consumistica e d’evasione che attrasse più il pubblico che la critica: Antonio Gramsci la definì «onesta gallina della letteratura popolare», che – quantomeno a mio personale giudizio –  non va intesa come detrazione quanto, piuttosto, come descrizione di una necessità all’interno del processo critico di alfabetizzazione delle masse, mentre tra gli epiteti che le furono affibbiati, oltre a “la Carolina di servizio”, vale la pena ricordare “la casalinga di Voghera”, da cui deriverebbe l’espressione oggi divenuta comune. Una precorritrice dell’odierno chick lit, che però ebbe il merito di aprire le porte della lettura e dell’alfabetizzazione anche alle donne appartenenti alle classi sociali più umili, arretrate, tagliate quasi sistematicamente fuori dai grandi temi della letteratura nazionale ma non per questo meno meritevoli di attenzione e di una dimensione culturale all’interno della quale collocarsi. Da questo punto di vista, la definizione – per molti incongrua e immeritevole – di narrativa storico-sociale spesso usata per identificare la produzione dell’autrice, risulta invece pertinente.

Molti dei suoi volumi sono stati tradotti con successo all’estero o trasposti cinematograficamente, a testimonianza della larga affermazione del suo lavoro.

Le ultime edizioni complete sono quella Salani degli anni settanta che riprendono le edizioni degli anni trenta, ma sul mercato esiste a tutt’oggi una numerosa opera di ristampa. L’editore Einaudi, per esempio, conta nel suo catalogo Il bacio di una morta. Morì a Cuneo nel 1916.

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