Matilde Serao costituisce, a cavallo tra i due secoli, un “caso” per certi versi accostabile a quello rappresentato attualmente da Elena Ferrante, quanto per la consapevolezza e la vividezza con cui fu in grado di descrivere la sua Napoli.
In discussione non vi è la questione dell’identità. Sappiamo senza ombra di dubbio che nacque a Patrasso nel 1856 da padre italiano – un giornalista napoletano esule dopo i fatti del ’48 – e da madre greca. Crebbe, tuttavia, a Napoli, sola con sua madre e tra ingenti difficoltà economiche. Diplomatasi maestra, trovò un primo impiego ai Telegrafi prima di dedicarsi esclusivamente al giornalismo, trampolino verso una carriera letteraria di un certo spessore. Il matrimonio con Edoardo Scarfoglio, inoltre, le dà accesso a numerose iniziative giornalistiche di rilievo: scrive per il Corriere di Roma, il Corriere di Napoli, il Mattino, che pure diresse, prima donna in Italia ad assumere tale responsabilità.
La sua straordinarietà risiede nelle sue qualità di scrittrice illuminata, nella modernissima struttura psicologica delle sue opere, finanche «per la forza virile con cui seppe affermarsi», come sottolinea Antonia Arslan nel capitolo a lei dedicato nel saggio Dame, Galline, Regine – la scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900 (Guerini e Associati, pag. 159).
«Matilde Serao [fu] capace di stringere rapporti proficui […] con le rappresentanti di quella “galassia sommersa” (almeno oggi) di “romanzatrici”, novellatrici, poetesse, giornaliste, appendiciste, numerosissime nell’Italia dell’ultimo Ottocento, che non scrivevano nel chiuso del loro piccolo mondo ma lavoravano per pubblicare e ottenevano rispetto e recensioni e in generale un buon trattamento dagli scrittori e critici contemporanei».
Il suo lavoro indiscutibilmente più conosciuto fu Il ventre di Napoli, una sorta di inchiesta sulla città partenopea pubblicata nel 1884 per i tipi dei fratelli Treves. Suddivisa in due parti e dodici capitoli, è un reportage sulle cronache d’epoca, basate sul degrado in cui viveva la maggioranza della popolazione napoletana, soprattutto dopo che nel 1884 un’epidemia di colera colpì Napoli. A partire dalla lettera che il sindaco dell’epoca inviò a Roma, al presidente del consiglio Depretis, per metterlo al corrente della situazione, la Serao descrive il “ventre”, ossia i quartieri popolari, straripanti di poveri che vivono alla giornata, preda del degrado urbano e delle malattie soffermandosi sulla grande capacità dei napoletani di sopravvivere nonostante le difficili condizioni, sulle loro infinite e singolari risorse, molte delle quali tutt’ora rappresentative di un popolo che è come la fenice: risorge sempre dalle sue ceneri.
La risposta di Depretis è lo “sventramento” delle zone più degradate di Napoli e un piano di risanamento della città che prevede di abbattere vie e quartieri per fare spazio a larghe piazze e canali stradali molto ampi. Ciò che suscita un certo scetticismo in Serao: il governo dimostra così, a suo parere, soltanto il suo lato speculativo, senza cercare una vera soluzione al problema.
A questa produzione per così dire impegnata fa da contrappunto un’intensa opera appendicista, oggi meno conosciuta ma che all’epoca ne decretò il successo tra il pubblico femminile, che comprende oltre quaranta volumi fra romanzi e novelle e che, prendendo il via dal verismo meridionale, si rimodulò seguendo le mode dello psicologismo alla Bourget, dello spiritualismo misticheggiante e del cosmopolitismo. Tra le altre ricordiamo: Dal vero; Piccole anime, Il romanzo della fanciulla, All’erta, sentinella! Il paese di Cuccagna, La ballerina, Suor Giovanna della Croce,Addio, amore!, Castigo, L’infedele.
Nostalgica più che progressista rispetto al ruolo della donna nella società, la sua avversione alla Prima Guerra Mondiale e alla sucessiva affermazione del fascismo le costarono l’ostracismo del regime. Morì a Napoli il 25 luglio del 1927.