#GalassieSommerse: Jolanda

Soprannominata da Antonia Arslan «l’appartata marchesa-scrittrice»  Jolanda, al secolo Maria Maiocchi coniugata Plattis, nacque a Cento (Ferrara) il 23 Aprile 1864. Suo nonno fu quel Gaetano Majocchi contemporaneo e compagno di lavoro di Leopardi, filologo illustre, che collaborò anche alla realizzazione del vocabolario del Mannuzzi.

Probabilmente anche per questo è stata considerata da subito una professionista della scrittura e non solo una donna talentuosa e capace, una scribacchina di romanzi per intrattenere le giovani donne da marito. La sua altezza intellettuale la portò non solo a scrivere un manuale di buone maniere, Eva regina, poi rimasto insieme a La gente per bene di Marchesa Colombi, un punto di riferimento imprescindibile del genere di afferenza almeno fino alla metà del secolo scorso, ma – ciò che più pesa e gratifica – a occuparsi, alla pari delle sue controparti maschili, di critica letteraria.

A Cento passò la prima giovinezza, tranquilla e ritirata, anche a causa della sua salute cagionevole. A tredici anni conosceva già tutto il teatro di Goldoni, e negli anni successivi si cimentò nella stesura e nell’interpretazione di brevi commediole con le amiche. Nello stesso periodo imparò a tradurre dal francese con singolare facilità.

Scrisse, in quel tempo, molti racconti, novelle e fiabe. Esordì, poi, con un bozzetto fantastico, Il fior della ventura, pubblicato nella «Palestra per le giovinette» del periodico «Cordelia», così come il romanzo breve, Prime vittorie. Questo sviluppo artistico venne interrotto dal suo matrimonio col marchese Fernando Plattis, di famiglia padovana, da cui ebbe un unico figlio, anche lui di cagionevole salute, al quale si consacrò quasi esclusivamente.

Nella pace di Villa Giovannina, un castello medievale nella pianura bolognese riprese, qualche tempo dopo, a scrivere. E cambiò pseudonimo. I suoi primi lavori erano firmati Margheritina da Cento; dopo il matrimonio assunse il nome di Jolanda. Ma rimase presto vedova e insieme al marito perse pure l’agio economico, ciò che le rese impossibile, per qualche tempo, continuare nella sua attività di scrittura.

Il trasferimento a Bologna del figlio per ragioni di studio le consentì di stabilirsi nuovamente nella casa paterna di Cento, che non lasciò più, e dove, finché visse, svolse tutta la sua attività. La ripresa del lavoro le dette subito delle gioie. All’Esposizione Beatrice di Firenze (1890) i suoi scritti ebbero un premio; al «Marzocco» e alla «Roma Letteraria» vinse due concorsi per novelle; tenne, poi, a Ferrara, a Firenze e altrove, molte appassionanti conferenze. Diresse tre riviste letterarie: la «Rassegna Moderna», la «Vittoria Colonna» e «Cordelia». Fu in corrispondenza assidua con quasi tutti i letterati italiani e stranieri dell’epoca. Scrisse una trentina di libri, in gran parte romanzi. Ciononostante, la difficoltà a ottenere compensi adeguati la spinse a dire: «Sono sfiduciata. E, poiché a me non importa nulla della gloria e non ho più illusioni per i miei sogni d’arte, spezzerei la penna se non pensassi che, dopo, la mia solitudine sarebbe ancora più spaventevole».

Per pubblicare Le Donne nei poemi di Wagner, bussò invano alle porte di otto editori, e il nono l’ebbe gratis. Eva Regina non le rese quasi nulla. Edizioni fatte di nascosto, mutilate, vendute a prezzi bassissimi. Fece ricorso in Tribunale e perse, perché l’editore non aveva denunziato il libro alla Prefettura. Per fortuna anche Jolanda trovò, negli ultimi tempi, qualche editore più equo: il Cogliati ed il Cappelli di cui non si lagnò mai, e per i quali ebbe, anzi, sempre una predilezione.

Eva-Regina-Jolanda-1930- Il-Libro

Quando pubblicò il racconto Sotto il paralume color di rosa, Sem Benelli, che allora dettava le sue cronache letterarie sulla «Rassegna Internazionale della letteratura contemporanea» del Quintieri, la proclamò «una delle migliori scrittrici italiane». Essendo portatrice di una scrittura spontanea e sincera, dichiarò un giorno che «nulla mi irrita più dell’indagine dei lettori per misurare le parti di vero che io metto nei miei racconti».

Di Suor Immacolata disse: «È un libro a cui non dò importanza. Scritto con molte restrizioni; quindi con molte difficoltà da superare». Ma aggiunse:

«Contiene alcune pagine di prosa (il ritorno di Suor Immacolata alla casa paterna) tra le più sentite ch’io abbia scritte, ed anche nuove come situazione. Io dovevo fare un libro che armonizzasse con la collezione a cui appartiene, e che, nel tempo stesso, ne differenzia per superiorità estetica e per modernità. Sento di essere riuscita a corrispondere a queste richieste e mi basta».

Altri romanzi significativi sono La rivincita, dove descrive il «villaggio presso Padova dove vissi gli anni più indimenticabili della mia vita; è lo scritto più intimamente legato alla mia anima». La Maggiorana, a cui teneva «solamente per ragioni intime, non per ragioni d’arte», contiene la descrizione della sua città, la sua casa, il suo ambiente. Ne Le Indimenticabili per la figura dello scultore Novigrado si ispirò ad un vecchio artista amico di famiglia, il centese Galletti. Le Ultime Vestali affronta un «soggetto difficile da svolgere figuratamente: il contrasto fra la vecchia educazione che ancora si impartisce alla donna e l’educazione veramente moderna e consona ai tempi, che è conosciuta e sostenuta dalla minoranza».

Nell’ultima parte della sua vita dovette sopportare, ad intervalli, diverse operazioni chirurgiche. In questo periodo scrisse Pagine mistiche, che fu poi pubblicato postumo. Questo male refrattario a ogni cura la portò a morte l’8 agosto 1917.

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