Io sono la bestia di Andrea Donaera (NN Editore) è un libro per chi non ha paura di piangere, e non ha paura dell’amore, anche quando è deturpato, disonorato, svergognato e spezza il cuore e non salva nessuno, nemmeno se stesso.
Si stipano gli incontri,
e le strade, e gli scontri,
ed è tutto un andare:
verso qualcuno che magari è te.
Sono tutti giovani tranne me:
nell’andare vitale,
sono tutti qualcuno tranne me:
che resto tale e quale
nel non essere nessuno: se non
macchina a centotrenta
dritta verso il burrone –
e se tu fossi almeno
il burrone: ma tu sei la caduta.
Così recita una delle poesie del Quaderno d’addio di Michele Trevi, nato il 20 giugno 1979 a Lecce, studente al Liceo Classico di Gallipoli e collaboratore della fanzine musicale Metal Skin. Ma quando il lettore fa la conoscenza di Michele (o Michele Maradona come è stato soprannominato dagli amici), in Io sono la bestia di Andrea Donaera, sono passati 15 anni, siamo nel 1994, e il ragazzo si è tolto la vita gettandosi dal settimo piano nel giorno in cui ha provato a dare alla compagna di scuola, Nicole ‒ di cui è innamorato come si può essere innamorati a quindici anni – il quaderno con la raccolta poetica da lei ispirata e a lei dedicata, ricevendone in cambio una risata sprezzante.
Quando il lettore vede Michele per la prima volta in realtà non lo vede affatto. È evocato all’interno di una bara chiusa, circondata dalle sedie con le donne sedute che si fanno aria col ventaglio e gli uomini in piedi a fumare e bere caffè. C’è caldo di scirocco, anche se si siamo a fine settembre, ma fa caldo come ad agosto e la casa è piena di gente, in quella sala sono troppi e Mimì pensa: basta, li ammazzo tutti. E già a questo punto del romanzo l’atmosfera è estenuante.
Mimì è il padre di Michele, ed è un boss della Sacra Corona Unita e la morte del figlio, una morte così, anche se non è stato un omicidio, ai suoi occhi appare proprio come tale: una risata sprezzante, una scrollata di spalle, un bacio rifiutato, valgono quanto altrettanti proiettili, e sangue chiama sangue, e la morte di Michele vuole vendetta. Non importa se Nicole è poco più di una bambina, se gli amori non corrisposti a quell’età sono botte precarie, se il rapporto causa-effetto non ha il collante della volontà. Quel rifiuto deve essere punito. Nicole è prelevata di forza e rinchiusa in un vecchio casolare della campagna salentina che non fosse per macchie di vegetazione incerta e muretti a secco parrebbe tal quale a un deserto, sotto la guardia di Veli, un personaggio che i lettori non (ri)conosceranno fino al colpo nello stomaco che sarà la sua rivelazione e che non è la sua osteggiata relazione con Arianna, la figlia maggiore di Mimì, anche perché questo ci viene detto fin dalla bandella di copertina, proprio come viene insinuato subito che il rapporto carceriere – prigioniera sarà «fatto di racconti e silenzi, ma anche di sfida e ferocia», come il raporto tra la Bella e la Bestia che è una favola al contempo archetipica e multiforme (ve ne avevo già parlato qui). Pure in questo, Io sono la bestia di Andrea Donaera è tutto quello che non ti aspetti e che per questo ti cattura, ti risucchia, ti strega.
È una narrazione corale, viscerale e, allo stesso tempo, personale: Donaera esordisce con una consapevolezza di stile, lessico, struttura e scrittura sbalorditive. C’è, in Io sono la bestia, un’immediatezza, una scioltezza di passaggio da una voce all’altra del racconto, dalla psicologia alla carnalità di ciascun personaggio (quelli minori inclusi), dal gesto alla parola che sorprende come un orgasmo la prima volta.
Non v’è dubbio che la trama sia forte e dolorosa: Mimì è una bestia e tale fa diventare chiunque lo circondi. E l’essere il boss di una cosca mafiosa è quasi un processo naturale per un uomo che vive prigioniero di se stesso e dei suoi demoni, e continuare a ripetere basta, e continuare a uccidere, è praticamente la stessa cosa. Basta è una pallottola che non colpisce mai il bersaglio innescando un culto della violenza che è come un rito senza fine.
Il controcanto di Veli, Arianna e Nicole dispiegano una melodia sovrapposta, a volte sottoposta, a quella principale senza mai spezzare il miracoloso incanto di una sinfonia capace di tessere lingua parlata, lingua dialettale, lingua letteraria, come se a una maestosa opera lirica si fosse mescolata, con assoluta spontaneità, a una playlist grunge senza steccare.
Donaera è un esordiente e questa è la prima opera, e allora ti accorgi che a volte grezzo è un aggettivo di valore, non foss’altro perché sinonimo di naturale, quindi vero, reale e Io sono la bestia è una storia in cui ti ci puoi calare, uscendone a pezzi – questo non si può negare – ma cos’altro è poi la realtà se non un macello che ci tocca, quando ci va bene, ogni volta sistemare?
(Il Quadermo d’addio con le poesie di Michele Trevi da cui è tratta anche quella inserita in questa recensione è scaricabile gratuitamente scansionando il QRCODE presente a pag. 4 del romanzo)