Di Lydia F. e Sara M.
Il 22 settembre 1994 l’emittente televisiva statunitense NBC ha mandato in onda l’episodio pilota di una nuova sit-com, Friends. Cristallino fin dal titolo, Friends (o meglio: F·R·I·E·N·D·S·) è incentrato su un gruppo di sei amici che si ritrovano (magari appena un po’ più spesso di quanto sia logico immaginarsi) in un caffè di Lower Manhattan a chiacchierare del più e del meno.
In Italia, la serie è arrivata nell’autunno del 1997 prima su Rai Tre (nel preserale) e poi su Rai Due, in prima serata. Io (Sara) avevo appena compiuto vent’anni e guardarla era quasi naturale visto che il target erano proprio i ragazzi della cosiddetta generazione X, quella dei giovani adulti degli anni ‘90. Era divertente, i personaggi avevano una marcata caratterizzazione ed era abbastanza facile riconoscersi in questa o quella situazione. Pensata per la generazione X, Friends, ha finito per farsi amare anche dai Millenials, ed ecco che oggi siamo ancora qui a celebrarla con una chiacchierata virtuale (spero siate seduti sul divano della vostra caffetteria preferita, ovunque essa sia) insieme a Lydia che nel 1994 era, al contrario di me, appena nata.
(Lydia) Ho conosciuto Friends per caso. Attorno al 2002-2003 più o meno mi è capitato di vedere qualche puntata random su Rai Due di questo telefilm, senza sapere che mi avrebbe un giorno appassionata (d’altronde avevo 8/9 anni). Poco tempo dopo in un negozio di elettronica i miei genitori mi hanno comprato una vhs di Friends (era in una di quelle svendite classiche che ci sono ancora oggi nei centri commerciali, solo che adesso sono dvd) della Quinta Stagione: quella in cui la relazione di Chandler e Monica esce allo scoperto, con la puntata Io so che tu sai che io so in cui dopo il tentativo di Phoebe e Rachel di far confessare i due, con Phoebe che finge di flirtare con Chandler, quest’ultimo dice «io amo Monica». In quel periodo non usavo il computer, non conoscevo lo streaming e la mia unica fonte di film/telefilm/cartoni era la televisione: avevo un videoregistratore con cui registravo qualsiasi cosa, nel corso di quegli anni ho accumulato un sacco di videocassette registrate (dai film tv che adesso non si trovano più neanche in streaming, ai telefilm che hanno fatto la storia, come Friends).
In effetti quello è stato il punto di svolta anche per me. Quelle che oggi chiamiamo comunemente otp erano da sempre il sogno segreto di ogni fan, due personaggi che scoprono all’improvviso di amarsi e vanno avanti senza troppi alti bassi, al contrario della ship ufficiale Ross e Rachel che ci ha tenuti col fiato sospeso fino all’ultimissima puntata. Da notare che all’epoca le denominazioni di ship o otp non erano ancora entrate a far parte del vocabolario trasversale delle serie TV, ma in Friends il loro significato era palesemente chiaro, anticipando, tra le altre cose, anche la semantica della TV a seguire.
(Lydia) Poi nel 2005 è andata in onda in Italia la decima e ultima stagione di Friends: ho visto qualche puntata su Rai Due la sera e me ne sono profondamente innamorata. Per questo, quando Tv Sorrisi e Canzoni ha fatto uscire ogni settimana in edicola i dvd della serie li ho comprati tutti (era il 2005, avevo 11 anni, uscivano due dvd a settimana a 12,90€ totali, considerato che erano 4 dvd per ogni stagione, 3 per la decima, ho collezionato 39 dvd, spendendo una cifra allucinante al giorno d’oggi). Da qui è partito il loop: penso di averla riguardata almeno 3 o 4 volte da allora, per intero e ancora oggi ogni volta che la serie viene trasmessa in televisione non riesco a non guardarla se ne ho la possibilità.
A me è andata persino peggio: il mio loop dura da 20 anni con sporadiche interruzioni. Ormai credo di conoscere a memoria ogni singola battuta di ogni singola puntata. Ma ogni volta le rivedo con la stessa passione della prima volta.
(Lydia) Questo telefilm mi ha colpito per tante ragioni. Innanzitutto amo i personaggi: l’imbranataggine, il romanticismo e l’intelligenza di Ross, la goffaggine e il sarcasmo di Chandler, l’essere quasi un eterno bambino di Joey, Rachel e il suo percorso di maturità dall’inizio della serie alla fine, l’irrazionalità di Phoebe e la mania di controllo di Monica. Ho amato questi personaggi, mi sono immaginata di essere loro amica, di sedere con loro sul divano al Central Perk, di mangiare a tavola con loro la cena del Ringraziamento. E se ho amato questi personaggi è perché ho riconosciuto in loro qualcosa di vero: siamo stati tutti, o lo saremo, un po’ imbranati, combiniamo tutti degli errori, ci affezioniamo anche noi alle creature più disparate, viviamo situazioni al limite della normalità come loro. E tutti abbiamo sognato di avere degli amici che fossero come una famiglia per noi. Tutti abbiamo sognato l’amore infinito tra Ross e Rachel, il loro tira e molla, così come ci siamo commossi dalla magia della proposta di matrimonio di Monica a Chandler.
Il fatto che per tutti Friends fosse quella serie in cui gli amici erano il sostituto naturale della famiglia in un momento storico in cui la famiglia inizia a sfumare i contorni della tradizione è probabilmente un elemento determinante per il successo e la longevità della serie. Si pensi all’Italia, dove proprio la generazione X si trovava nei panni scomodi dell’essere la prima a sperimentare le conseguenze della legge sul divorzio, senza troppi punti di riferimento, ed ecco che in questa serie scopre un riflesso abbastanza nitido di ciò che significa essere ventenni con situazioni problematiche alle spalle (Chandler e poi Rachel, Phoebe è il caso limite). Ma c’è anche il riflesso di quel desiderio, ormai accettato e persino incoraggiato, di volersi emancipare dalla famiglia tradizionale e cimentarsi con l’indipendenza, il lavoro, l’affermazione di sé, l’autorealizzazione, soprattutto per le donne (pensate a Rachel) che non vogliono più sentirsi delle “ciabatte”, che vogliono sposarsi per amore (Phoebe) e non per convenienza (Rachel). O non sposarsi affatto. Nel frattempo, “sperimentare” non è un problema, e della morale ipocrita della società si può fare volentieri a meno.
(Lydia) Tutte queste cose, insieme a una buona dose di divertimento e di risate – perché dobbiamo ricordarci che è pur sempre una sit-com con puntate da 20 minuti l’una – hanno reso grande questa serie tv. Così come le tematiche affrontate: non dimentichiamo che le puntate negli States sono andate in onda dal 1994 al 2004, penso che temi come l’omosessualità, l’utero surrogato, le famiglie miste (due madri e un padre per Ben), avere una figlia senza essere una coppia (la piccola Emma), il non riuscire ad avere figli e quindi optare per l’adozione, siano tutti temi molto importanti e che qui sono stati trattati con una leggerezza che li ha resi perfettamente normali, perché sono casi della vita che possono accadere e che al giorno d’oggi non dovrebbero neppure meravigliare. Temi affrontati sempre con il sorriso, o con il tentativo di far sorridere: e così Carol e Susan sono due donne felici e noi siamo felici con loro, Phoebe ha messo al mondo i figli del fratello e oltre alla commozione, pensiamo al bel gesto compiuto per due persone che non potevano avere figli (e poi, la tematica del ragazzo giovane ventenne e della donna cinquantenne, quindi coppia con una grande differenza d’età: quante ce ne sono oggi anche? Allora magari potevano far storcere il naso e probabilmente anche ora. Così come la frase di Phoebe, quando sta per nascere Ben, fa emozionare «Io ho avuto una sola madre, non ho mai conosciuto mio padre. E ora questo bambino avrà due madri e un padre. Che bambino fortunato, quanto amore» (ovviamente non ricordo con precisione, ma il senso era questo, ed è vero, è reale).
E pensare invece che negli Stati Uniti la serie sia stata etichettata come omofoba e razzista per le troppe battute sui gay e per la mancanza (con l’eccezione di Charlie tra la fine della nona stagione e l’inizio della decima) di personaggi afroamericani. Lo ricorda anche Kelsey Miller, autrice di I’ll be there for you. Dietro le quinte di Friends (Harper&Collins), un saggio sulla mitica serie che oltre a raccontare i particolari della creazione dell’episodio pilota, la scelta del cast, le variazioni del titolo fino al definitivo Friends, i gossip sugli aumenti stellari degli ingaggi del cast, le azioni e reazioni degli attori e dei personaggi da loro interpretati, sottolinea più volte questi aspetti “critici” della serie, ma con un’ambiguità che lascia il lettore disorientato più che informato. Non si capisce se sia un’accusa o una difesa; ad ogni critica fa seguito una giustificazione. Di sicuro Friends era un prodotto dei suoi tempi, e la leggerezza il suo scopo ultimo, una leggerezza che non significa vacuità né superficialità né futile frivolezza. E non è un caso se all’interno dello stesso libro si parla anche dell’enorme contributo che la serie ha dato alla ripresa, al ritorno alla normalità, della popolazione americana dopo l’11 settembre. Qualcosa, credo, che è stata avvertita da tutti gli spettatori, di tutto il mondo, che dopo il crollo delle certezze, della speranza, dopo il lutto, ha potuto credere, semplicemente sintonizzandosi su un canale TV, che se il ritorno al passato non era più possibile, non è nemmeno impossibile un ritorno a una vita normale, senza sentirsi costantemente sotto attacco e minacciati.
(Lydia) Friends ha fatto la storia delle serie TV, e secondo me si merita un posto elevato sul podio delle migliori serie realizzate. Grazie a Friends generazioni di amanti dei telefilm sono cresciuti apprendendo qualcosa (inclusa – come tanti hanno sperimentato – la lingua inglese), divertendosi anche un po’. Poi probabilmente senza Friends non ci sarebbe stata un’altra sit-com bellissima, che ricorda, come dinamiche di gruppo: How I Met your mother. Non sto qui a elencarvi le numerose filiazioni (tra cui il grande amore Lily-Marshall, riscontrabile secondo me in Monica-Chandler, o la grande storia di tira e molla fino alla fine di Ted e Robin, come quella tra Ross e Rachel, oppure ancora Barney dongiovanni, così come in Friends lo è Joey), perché sarebbero tantissime, ma questo solo per farvi capire quanto una serie Tv durata dieci anni possa aver condizionato quelle successive e la conseguente cultura di massa.
E adesso tutti a festeggiare al Central Perk. Buon compleanno “amici”. Mai come in questo caso vi auguriamo altri 100 di questi giorni.