N.B: questo articolo, sempre a mia firma, è stato pubblicato per la prima volta su Sul Romanzo: qui il link.
Essendo passati 5 anni, è stato solo lievemente aggiornato e riportato al dato cronologico degli 80 anni dall’uscita sugli schermi del film tratto dal romanzo Via Col Vento.
Da 80 anni, dopotutto «domani è un altro giorno» per Via col vento. Con una delle sue frasi più celebri (e trite) ricordiamo i venti lustri della versione cinematografica dell’omonimo romanzo di Margareth Mitchell, pubblicato appena tre anni prima (1936). Era, infatti, il settembre del 1939 quando veniva proiettato lo screen test prima dell’uscita ufficiale sul grande schermo (a dicembre) di quello che sarebbe diventato il classico hollywoodiano per eccellenza, il totem delle epopee sentimentali su pellicola.
Ricompensato da una quantità di Oscar (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista, migliore attrice non protagonista, migliore sceneggiatura, scenografia, fotografia, montaggio, due premi speciali, più altre cinque nomination, incluse quelle ad altri due major characters come Clarke Gable e Olivia de Havilland), Gone with the wind ancora nel 1989 – in occasione dei 50 anni – è stato insignito del Peopel’s Choise Award come miglior film di tutti i tempi.
Scrive Ferdinando Di Giammatteo nel suo Storia del Cinema (Marsilio, 2002):
«La fortuna è il suo valore. Tutto il resto diverrà secondario e, alla fine, trascurabile. Il film contiene sequenze emozionanti, sfoggia battute che sono divenute proverbiali. Nessuno vi si sofferma veramente».
Tutto sembra essere ridotto, paradossalmente, al gigantismo degli attori, alla magniloquenza delle scene, alla superbia delle musiche di Max Steiner e, naturalmente, all’epica amorosa tra Scarlett-Ashley e Scarlett-Rhett.
Sotto il profilo della tecnica cinematografica il film di Victor Fleming, prodotto (e fortemente voluto) da David O. Selznick, presenta alcune peculiarità non marginali. Si tratta di elementi che la maggior parte del pubblico dell’epoca colse più per la sensazionalità che per la reale portata innovativa in relazione al linguaggio cinematografico. Un immenso impiego di risorse finanziarie, tenuto conto del fatto che, all’interno dell’oligopolio delle otto sorelle che governava Hollywood a quei tempi, Selzenick era un produttore indipendente, indotto ad appoggiarsi alla WB per realizzare una vera e propria impresa. Il film inoltre ha una durata quasi inconcepibile (oltre quattro ore), il soggetto originale era un rischio, giacché nonostante il romanzo della Mitchell fosse stato battezzato col Pulitzer e si fosse già dimostrato un vero e proprio caso letterario, era pur sempre molto, forse troppo, giovane per una trasposizione di tale portata. Insomma, a fronte di un impegno tanto importante, non c’erano assicurazioni di ritorno. E tuttavia, con i suoi ottanta milioni di dollari di incasso resterà saldamente, fino agli anni Settanta, re del botteghino.
Ma qual è il vero valore aggiunto di questo kolossal? Di notevole il film offre alcune ineccepibili caratteristiche, tra le quali una su tutte necessita di una breve considerazione: il colore. L’uso del quale ha funto da effetto traino anche per altri aspetti del film, consegnandolo alla Storia nel modo in cui ancora oggi è stimato. Le tecniche di colorazione della pellicola erano conosciute e, variamente usate, sin dai tempi di Mélies, ma solo negli anni Trenta, con l’affermazione del Technicolor, il processo venne inteso come passo ulteriore verso una resa narrativa superiore rispetto a quella della diegesi letteraria. Ma per quanto riguarda Via col vento l’effetto non fu esattamente così. Al contrario, l’antinaturalismo di un processo di colorazione che avveniva pur sempre su basi chimiche sovvertì ogni pretesa di verosimiglianza, finendo per contraddire il principio di realtà, trasformando un grande affresco storico-narrativo in un grandioso affresco immaginifico-pittorico. In altre parole, il colore era un cliché (pensiamo alla celeberrima sequenza dell’incendio di Atlanta) con un grado di saturazione che procede per sottrazione di sfumature rispetto alle più realistiche ragioni del romanzo. Da qui la percezione, da parte dello spettatore, di assistere a una maestosa apologia romantica più che a una minuziosa ricostruzione storico-psicologica della civiltà del Vecchio Sud, ciò che ha contribuito a condizionare la comprensione dell’opera anche nella sua originale veste narrativa.
Tipico è l’esempio di Scarlett, universalmente conosciuta come personaggio tenace, egoista, vanesio, opportunista, viziato, scaltro, quale appare sullo schermo. Chi ha letto il libro non può non riconoscerle, invece, una fondamentalmente confusione riguardo a chi è davvero e chi desidera essere, una contraddittorietà tra ambizione ideale e ambizione materiale, un intimo tormento per cui «domani è un altro giorno» non è un’affermazione di cinismo ma un’ammissione di sconfitta. Tutto il romanzo, in effetti, ha una profondità, una trasversalità di eventi, personaggi, situazioni, sviluppi, che nel film invece troviamo schiacciati dai vividi colori della storia d’amore sullo sfondo di una guerra cruenta; paradossalmente, in uno dei primi film a colori della Storia, la contrapposizione tra buoni e cattivi, vincitori e vinti, ipocrisia e schiettezza è bicroma come il bianco e il nero.
In Via col vento, più che in altri dualismi letterario-cinematografici, è necessario tenere presente che la differenza tra i codici dei due mezzi conduce, il più delle volte, a risultati diversi, persino inconciliabili, nonostante nascano, di fatto, dalla medesima origine. E, di conseguenza, vanno tenute nel debito conto come opere autonome l’una dall’altra.
Perciò celebrare l’80° anniversario della trasposizione filmica di Via col vento significa celebrare un grande prodotto cinematografico, un capolavoro all’interno del proprio mezzo espressivo. Lo testimonia, in modo più che eloquente, il fatto che, a differenza di altri romanzi trasposti più volte nel corso del tempo, tra cinema e serie televisive (si pensi a Orgoglio e Pregiudizio, Anna Karenina, I miserabili, Il grande Gatsby e via di seguito), di Via col vento ce n’è uno e uno soltanto, il tentativo non è mai stato ripetuto. Nessun remake cinematografico o televisivo in 80 anni. A ben pensarci, forse, è questo il traguardo più prestigioso mai raggiunto.
Sul profilo Instagram è in corso l’organizzazione di un gruppo di lettura su Telegram che coprirà i mesi di ottobre e novembre per prepararci a rivedere, a dicembre, il film più famoso degli ultimi 80 anni, a cui siete inviati anche voi. Basta cliccare su questo link.