#GalassieSommerse: Regina di Luanto

Con Regina di Luanto (e relativo freebie su Instagram) continuiamo la rubrica sulle #galassiesommerse inaugurando la sezione scrittrici. Vale per loro più o meno quanto detto da Lydia sulle artiste, donne finalmente soggetto e non più solo oggetto di scrittura ma inopinatamente eliminate dal canone della Letteratura Italiana. La domanda, spontanea quanto banale, è: perché?

In Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf affermava che a tenere lontane le donne dal mestiere della scrittura (o dalla scrittura come mestiere) era l’assenza di un’entrata (altra) più o meno fissa – ovvero, di indipendenza economica – e la mancanza di – appunto – una stanza tutta per sé, quel luogo intimo e personale in cui isolarsi, staccarsi dal mondo esterno per scrivere in assoluta e privata comunione con sé stesse.

Eppure, alle donne di cui vi parlerò, a partire da oggi con Regina di Luanto, e continuando negli appuntamenti successivi, non difettavano né l’una né l’altra cosa: erano giornaliste, borghesi benestanti, aristocratiche, fulcro di circoli e di salotti intellettuali, hanno pubblicato per gli stessi editori dei vari D’Annunzio, Pirandello, Svevo… Le loro opere (che si collocano tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del XX) vanno di pari passo con la costruzione del romanzo italiano.

Sempre la Woolf constata, riferendosi a un contesto generale – Una stanza tutta per sé è datato 1928 – che nell’Italia mussoliniana «c’era una certa apprensione circa la narrativa» che si voleva virile e auto affermativa. E tuttavia, neanche questa ipotesi, vista a posteriori, convince più di tanto. Il canone che abbiamo conosciuto e studiato noi si è formato dopo il ventennio, dopo la guerra e con fini completamente opposti a quelli educativi del regime.

E allora? Allora torniamo sempre a Virginia Woolf, non foss’altro perché le sue affermazioni provengono da una prospettiva altra e non strettamente contingente con la situazione critico-storiografiche del nostro Paese:

«Ecco un libro importante, pensa il critico, perché parla di guerra. Quest’altro invece è un libro insignificante perché ha a che fare con i sentimenti delle donne in salotto».

Che è ciò che si può dire, in modo certo sbrigativo, de La scuola di Linda, di Regina di Luanto, in cui ci sono le donne, ci sono i salotti, i sentimenti ma soprattutto il ruolo dell’istruzione femminile, l’acuta osservazione della società italiana post unitaria, i rapporti tra genitori e figli. Un romanzo di formazione ironico e lungimirante che strega chiunque lo legga ma che la nostra storiografia ha fatto passare in cavalleria.

La contessina Linda Vallorsara è cresciuta alla scuola della finzione, della menzogna e del privilegio di classe, confusa da opinioni oscillanti e senza una guida a regolare i suoi istinti e a insegnarle a giudicare con chiarezza. Solo l’incontro con il vero amore potrebbe risvegliare il cuore e lo spirito, riconducendola alla semplicità della sua vera indole. Ma:

«l’amore è un atto generoso e costa caro ed è sempre più vantaggioso seguire l’esempio della maggioranza e caricare le spalle altrui per alleggerire le proprie».

Sullo sfondo della gaudente Roma umbertina e giolittiana, questo romanzo dimenticato di Regina di Luanto restituisce non solo le pagine strappate dalla Storia della Letteratura Italiana ‒ quelle della scrittura femminile tardo ottocentesca ‒ ma anche il senso di una feroce critica alle convenzioni e convenienze di una società fiacca e priva di sostanza morale che non conosce differenze fra i sessi.

Con l’edizione che vi trasmetto attraverso il freebie di oggi (vi ricordo che le opere delle autrici di cui vi parlo sono libere da diritti e, in molti casi, gratuitamente e legalmente scaricabili qui) altro non ho fatto se non dargli una revisione linguistica (soprattutto ortografica) più moderna e fruibile, un’impaginazione professionale e una copertina semplice ma evocativa (per cui si ringrazia Francesca Toscano) che si richiama all’immagine della donna di quei tempi perfettamente rappresentata dalle cosiddette Gibson Girls. Attualmente, solo la Libreria Centrale di Firenze conserva una copia del dattiloscritto originale.

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Regina di Luanto è, chiaramente, uno pseudonomo. per la precisone è l’anagramma del suo vero nome: Guendalina Lipparini, nata a Terni nel 1862. Sposò Alberto Roti nel 1881 col quale già conviveva (!), collaborò con la Rivista italiana di scienze, di lettere, arti e teatri prima e con La donna poi. Non fosse stata citata da Giuliana Morandini nell’antologia La voce che è in lei, verosimilmente sarebbe rimasta nell’oblio in cui era caduta dopo la sua morte. La sua prima opera, La Salamandra, fece scalpore per la scelta del tema e la stravaganza dei protagonisti: personaggi poco comuni e arditezza nella narrazione dell’amore e del rapporto tra i sessi. Scrisse, in tutto, undici tra romanzi e antologie di racconti che, oltre a gettare uno sguardo penetrante e audace sulla società dell’epoca, intervennero in questioni di assoluta delicatezza come l’istruzione, il sesso, il suicidio, il divorzio.

In seconde nozze sposò Alberto Gatti, gioielliere pisano, e adottò il nome di Lina Gatti, aumentando l’ambiguità e il mistero sorto nel frattempo intorno alla sua persona. Quando morì, nel 1914, venne ricordata sulle pagine del Il Nuovo giornale come «la scrittrice più audace, più avanzata, più arrischiata che abbia avuto l’Italia letteraria dell’ultimo ventennio». Una sorta di D’Annunzio al femminile si potrebbe anche dire, ma D’Annunzio era un uomo (anzi, un superuomo) e Regina di Luanto una damina da salotto. Volete mettere la differenza?

Fonti: Liber Liber

           Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, ed. Oscar Mondadori

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