Buongiorno lettori e benvenuti alle nuove iniziative di cui vi avevamo accennato qualche settimana fa. Oggi infatti comincia la mia rubrica dedicata ad una parte della Galassia sommersa: le artiste donne che in quanto tali, sono state messe nel dimenticatoio per lasciare spazio ai ben più ricercati artisti uomini.
Devo fare qualche premessa prima di cominciare a parlarvi di una di queste donne, anche per giustificare questa prima scelta. Innanzi tutto le donne nel mondo della cultura e dell’arte sono state quasi tutte, tranne poche fortunate elette, cancellate dai libri di antologia, di storia dell’arte. Alcune solo nel momento presente sono state riscoperte (vedasi per esempio Frida Kahlo, di cui ho notato il boom di libri, gadget, film, pubblicazioni e mostre negli ultimi anni), altre sono rimaste delle macchiette per lo più conosciute solo se analizzate in studi specifici e limitati. Questo è il caso per esempio di Berthe Morisot, che analizzerò nella prossima puntata, grande pittrice impressionista, modella e forse amante di Manet.
Purtroppo in quanto argomento studiato poco c’è tanta difficoltà a trovare materiale riguardante queste artiste (almeno in commercio e di facile reperibilità, cosa che avendo poco tempo a disposizione non è semplice trovare) e, per ragioni ovviamente di tempi sarà un numero limitato di esse, perchè di donne artiste sicuramente ce ne sono state molte di più di quelle che io andrò ad analizzare (saranno infatti solo una decina). Inoltre mi occuperò per lo più di pittrici, essendo la pittura uno dei campi artistici che preferisco. Cercherò di strutturare questa rubrica in “pillole”: aneddoti, informazioni che magari vadano oltre a quello che si trova per esempio su wikipedia. Per cui non troverete pippotti lunghi su cui non si riesce a soffermare l’attenzione.
Il mio desiderio è quello di farvi incuriosire riguardo a queste donne e di farvele apprezzare, magari colpiranno la vostra sensibilità così come hanno fatto con la mia. Proprio per una questione di sensibilità, come prima protagonista di oggi, voglio parlarvi di Artemisia Gentileschi.
Vissuta a cavallo tra Cinquecento e Seicento, figlia del pittore Orazio Gentileschi, unica figlia femmina, si interessò fin da bambina al mondo dei colori e delle tele paterne e già in tenera età imparò a dipingere. Il suo dono spinse Orazio a insegnarle l’arte, a farla studiare nella sua bottega, dove entrò in contatto con diversi artisti. A ventidue anni dipingeva il suo Autoritratto come suonatrice di liuto
Del quadro colpisce la forza espressiva dello sguardo, la tensione corporea, la bellezza delle dita affusolate, allungate (dita che furono ammirate e rappresentate anche da altri artisti, tra cui François Monastier), la forza e la passione che fuoriescono dalla tela per colpire chi la guarda. Ed è questa una delle caratteristiche peculiari delle sue opere, almeno di quelle dei primi anni: la tensione muscolare, l’espressività e le emozioni drammatiche. Il dramma che i dipinti comunicano è il dramma di una donna che da sempre aveva visto come era il mondo degli uomini: unica femmina quasi ammessa in questo circolo maschile, aveva presto imparato la rissosità dei pittori, aveva ormai appreso che il carattere dell’artista lo spinge a forti passioni e ad altrettanti gesti forti e violenti. E di un pittore si era anche innamorata, perchè lei di Agostino Tassi, amico e collega del padre, esperto di paesaggi, era innamorata. Gli incontri privati per imparare l’arte paesaggistica, l’amicizia che li legava e che lei sentiva crescere in sè, furono fortemente violati da quello stupro avvenuto nel 1611, quando Artemisia aveva diciotto anni. La violenza fisica non era niente rispetto alla violenza spirituale subita: alla mancata parola di quell’uomo che con sotterfugi l’aveva violentata e che, l’anno dopo, fu processato. Ma come in tutti i processi di stupro di allora (e oserei dire anche un po’ in quelli di adesso) quella che fu additata come una puttana, la cui reputazione fu messa in discussione, quella che fu sottoposta alla tortura dello schiacciamento delle dita (quelle dita che nel quadro che ho citato prima sono così affusolate), quella che fu costretta ad esami ginecologici pubblici, fu lei, fu Artemisia.
Il processo subito fu un’ulteriore violenza e si può immaginare e capire la rabbia che tutto ciò scatenò nella mente di questa donna. Subito dopo fu venduta come sposa ad un altro pittore, amico del padre, Pierantonio Stiattesi: il loro non fu un matrimonio felice, ma i libri e le monografie sottolineano come da quel momento Artemisia abbia viaggiato, tra Firenze, Venezia, Genova, Bologna, Napoli e come abbia intessuto rapporti con i vari committenti delle città, commissioni che servivano anche per pagare i debiti di Stiattesi.
Forse proprio la rabbia per ciò che era successo, risvegliò il coraggio in questa donna, la cui arte risuona di vita. In Susanna e i vecchioni è palese il disagio, il rifiuto di Susanna, la potenza espressiva del viso e delle mani in segno di allontanamento
Così come in Giuditta e Oloferne ciò che colpisce è la violenza dell’atto di Giuditta su Oloferne, l’aiuto della fantesca nel tenere ferma la vittima mentre viene compiuto l’atto: quasi una vendetta forse di ciò che in quanto donna innocente e debole aveva subito in passato da quell’uomo che l’aveva ingannata?
Le donne di Artemisia sono passionali, forti, sensuali: la spiritualità è caratteristica lontana dalla sua arte e ciò che colpisce nei suoi quadri è l’effetto di realtà: la sensazione di trovarsi di fronte ad una scena reale con persone veramente esistenti che si fanno ossa, muscoli, corpo e plasticità, dramma e violenza.
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