Due Pard (Bookabook Edizioni) è l’opera prima di Paolo Murino, classe ‘58, ex pubblicitario, attualmente impiegato in un’agenzia immobiliare. Gli esordi sono, in genere, i più difficili da giudicare, almeno per due ragioni: la prima è che in un paese come il nostro di Santi, Navigatori e Poeti (o scrittori), ma ultimamente soprattutto scrittori, e con un tasso di lettura media tra i più bassi d’Europa, la prima domanda che sorge spontanea, almeno per quanto mi riguarda, è: c’era davvero bisogno di un altro scrittore e di un altro libro? La seconda ragione è che non essendoci misure di paragone col passato, con un’opera precedente, si gioca un po’ d’azzardo e un po’ di libero arbitrio, la lettura deve essere più attenta per cogliere quantomeno i riferimenti al bagaglio di letture dell’autore e capire fino a che punto è stato in grado di rielaborarle in un progetto originale. Cosa dire, allora, di questo Due Pard di Paolo Murino? Quali risposte a queste due domande?
Alla prima domanda ha risposto direttamente il pubblico dei lettori, perché come forse alcuni di voi sapranno, BookaBook è una casa editrice basata sul principio del crawdfunding, per cui se un libro è meritevole di essere letto sono i lettori stessi a deciderlo attraverso i pre ordini.
Alla seconda posso rispondere io con abbastanza convinzione: Due Pard di Paolo Murino innesta su una base stilistica mutuata al moderno romanzo americano (quello di Steinbeck e Truman Capote, per intendersi – ma, del resto, è lo stesso Murino a dichiararlo per bocca di uno dei suoi personaggi), lo slancio – tutto italiano – di due Pard alla Tex Willer, giustizieri solitari che non riconoscono la legge, o meglio, riconoscono la loro legge, quella dei Blocchi, dove si cresce senza regole, senza punti di riferimento e soprattutto senza prospettive. Ma qui troviamo anche il guizzo, l’intuizione personale dell’autore che timbra così il cartellino della novità e dell’audacia: i suoi due Pard disattendono l’etica di Tex, non sono eroi positivi ma nemmeno completamente negativi. Sono semplicemente figli del loro tempo, un tempo senza eroi ma con molti epitomi. Nel bene e nel male.
Aldo ed Emilio – o come sono meglio conosciuti: il Toro e Lisca – non sono mai stati bambini anche se è da bambini che si sono conosciuti. Orfani ognuno a modo proprio, non conoscono altra scuola se non la strada, o più precisamente le strade dei Blocchi, che più che un quartiere sono un microcosmo, una dimensione a sé stante fatta di molta violenza e poca virtù, di spaccio, di bullismo, prostituzione. All’interno dei Blocchi la compassione è pietà e la simpatia si confonde con la conformità. Persino l’amicizia è un sentimento ambiguo, un misto di attrazione e paura, quasi un passatempo, un legame stretto più per celia e per paura di rimanere definitivamente soli che per reale affinità.
Questi sono il Toro e il Lisca, e così crescono, senza guida e senza freni, tanto da non riuscire a sterzare in tempo e finire, non ancora maggiorenni, nel carcere dei piccoli ossia in riformatorio. Ed è qui che emergono le personalità e i rapporti di forza e di equilibrio tra i due, il Toro più riflessivo, misurato, capace di trovare qualcosa che ne catalizzi l’attenzione e funga da valvola di sfogo (la boxe); il Lisca sempre apatico, indolente, incapace o forse proprio neghittoso. Cerca solo di tirare a campare, sopraffacendo la ghenga di turno, magari racimolando grana senza troppa fatica. Poco impegno e massimo profitto. Esattamente i presupposti del piano geniale nel quale tenterà di coinvolgere il Toro una volta fuori, quello che dovrebbe svoltare la vita a entrambi ma che dimostra solo che la vita è esattamente come diceva John Lennon: quella cosa che ti accade mentre stai facendo altri programmi. E l’amicizia è un gioco a due, una questione di equilibrio e non di forze. E forse, nonostante tutto quello che insieme hanno passato, Toro e Lisca, non sono i due Pard che credevano: sono Aldo ed Emilio, due ragazzi incrociatosi per caso.
«Eppure, per il solo fatto di esserci cresciuto insieme, continuava a sentirsi in obbligo verso di lui, come del resto avvertiva più il dovere che il bisogno di cercarlo per le solite scorribande per poi, a nottata conclusa, puntualmente domandarsi se si poteva chiamare amicizia, la loro. »
Questa, almeno, sembra essere la versione del romanzo. Ma quale sarà la versione del Lisca?
Paolo Murino, pur essendo all’esordio, ha costruito un’impalcatura narrativa difficile da scardinare: dalle fondamenta al tetto, dalle basi allo sviluppo, dalla fabula all’intreccio, ogni mattone, ogni pezzo trova la sua giusta collocazione. L’autore sa che prima di poter essere considerato un narratore deve saper conquistare i lettori con l’affabulazione e Due Pard è, infatti, un’affascinante affabulazione. Sia nello stile ‒ asciutto, lineare, affabulatorio, appunto ‒ che nelle scelte lessicali: una lingua disinvolta, precisa, spedita, semplice ma non sottovalutata (fate caso, per esempio alle allitterazioni o alle omofonie che invece di risultare cacofoniche danno quel tocco di brio alla lettura e altrettanta vivacità alla scrittura).
Insomma, un esordio molto più che convincente quello di Paolo Murino con Due Pard, che dimostra che c’è sempre qualcosa da dire che non è stato ancora detto o – come è più il caso – c’è sempre un modo diverso per poterlo raccontare. Basta saperlo fare.