Cos’è la misura imperfetta del tempo? Monica Coppola ce la descrive, nel suo ultimo romanzo uscito per Las Vegas Editore, come un abito di una taglia toppo larga o troppo stretta, che le tre protagoniste non riescono a indossare, la mancata corrispondenza tra età e sentimento, desiderio e realtà, tutte, insomma, le in-coincidenze della vita che è necessario affrontare anche senza sapere come, si imparerà man mano, lungo la strada, a crescere, a realizzarsi, ad amare. Chi l’ha detto che ad ogni tempo corrisponde un’età, una ragione, un modo di vivere? Piuttosto, ogni cosa arriva a suo tempo, incluso lo svelamento di un segreto che ha pesato per oltre vent’anni sulle spalle di Lara.
Zita, Lara, Mia. Tre generazioni di donne, Torino sullo sfondo, e una famiglia che, come tutte le famiglie, è un campo magnetico: ci si attrae e ci si respinge, non sempre le polarità coincidono, soprattutto se non ci sono uomini (padri, mariti, fidanzati) a fare da conduttore. Succede quindi che Zita, vedova da sei mesi, provi a rinnamorarsi; Lara, ragazza madre senza nessun istinto di maternità, si comporti da eterna adolescente, e Mia a ventidue anni sembri la più vecchia delle tre. Che poi, è stata proprio Mia a insistere affinché la nonna andasse in vacanza alle terme per superare il lutto del marito Tore, ma non si sarebbe mai aspettata che da quel viaggio Zita se ne sarebbe tornata con qualcosa in più di un banale souvenir, un nuovo compagno, nientemeno, e sarà pure che l’amore non ha età, ma lei – Mia – a questa cosa non ci sta. Mia, appunto. Ventidue anni, i dreadlocks, gli anfibi, lo stesso zaino, lo stesso migliore amico di quando era bambina, un lavoro in un ipermercato che forse odia ma che non vuole lasciare, ama i biscotti con le gocce al cioccolato e se beve può capitare un guaio. Non parla con Lara, sua madre, da una vita anche perché è una vita che Lara sta a Milano, dirige (molto severamente) la filiale di una pomposa marca di abbigliamento intimo, ama il lusso e il tacco 15, pesca amanti occasionali in chat di incontri, fa 10 km al giorno sul tapis roulant per mantenersi snella e soda anche se ha passato gli anta e a fare la madre non ci riesce mai, non ci è mai riuscita, così come non è mai riuscita a dire il nome del ragazzo che ventidue anni prima l’ha messa incinta e poi è sparito. Riappare invece Mia a chiederle cosa deve fare con questa nonna che adesso si vuole risposare. E allora Lara torna a Torino e quel segreto che aveva ristretto o slabbrato la misura del tempo di ciascuna delle tre donne, come fosse il programma sbagliato di una lavatrice impazzita, schizza fuori all’improvviso. Imperfetto come ogni cosa. Naturalmente.
Mia spazzò via lo stato di quiete apparente. «Però è così ingiusta.»
«Cosa?»
«La morte.»
Mia allungò la fase di inspirazione. L’aria cominciava a mancarle.
«Arriva di colpo, ti squarcia, ti devasta. Un’esplosione di schegge nel cuore, nella testa. Ti esplodono i ricordi, i tempi, le priorità che avevi fino al giorno prima. Un attimo e ti senti estranea dentro il tuo presente. Un attimo e quella vita non la riconosci più. Ti aggrappi al passato, continui a pensare non può essere, questo non lo voglio vivere. Non è vero. Fatemi tornare indietro. Fatemi tornare indietro.»
Vivace, brioso, a tratti esuberante, La misura imperfetta del tempo di Monica Coppola è un romanzo paradossalmente perfetto nel catturare le dinamiche che caratterizzano la società contemporanea, in cui nessuno riesce più a indossare con agio i panni tagliati dall’età. Siamo tutti – chi più chi meno – in ritardo o in anticipo sulla tabella di marcia che una volta, e nemmeno tanto tempo fa, inchiodava soprattutto le donne a un ruolo predeterminato dall’etichetta che le contrassegnava. Le nonne erano e facevano le nonne. Le madri erano e facevano (o dovevano necessariamente fare) le madri. Le figlie erano figlie e basta. Qui, invece, è tutto sparigliato: ci sono figlie che si comportano come nonne, madri che fanno le adolescenti e nonne che tornano a essere figlie. Ed è significativo che tutte le protagoniste siano declinate al femminile, perché – se ci fate caso – questa libertà di essere un po’ chi ci pare e quando ci pare gli uomini se la sono presa già da un po’. Forse l’hanno sempre avuta. Le donne, invece, hanno pagato non pochi dazi per averla. Il tutto – si badi bene – senza fare del facile (e scontato) femminismo. Che di questi tempi non è poco.
D’altra parte la penna brillante e arguta di Monica Coppola piroetta tra le pagine con la grazia e l’abilità di una étoile, cambiando passo – pardon, registro narrativo – a ogni cambio di focalizzazione (o p.o.v. che dir si voglia), sicché il narratore è uno ma le voci sono tre. E tre gli stili. E i bagagli lessicali, che sono esattamente come i bagagli di esperienza che ciascuna delle tre protagoniste si porta dietro: le valigie col fiocchetto di Zita, il trolley giallo di Lara, lo zaino di Mia.
E gli uomini? Ci sono anche loro. Zigzagano tra le donne, custodiscono involontariamente dei segreti, sembrano vivere il loro tempo a un passo più spedito. Ma niente è perfetto, men che meno il tempo: quella è una misura imperfetta per eccellenza. Inutile cercarlo della propria taglia.
La misura imperfetta del tempo di Monica Coppola è un romanzo sul lasciarsi andare, sugli imprevisti che ti cambiano la vita, sui legami che stringiamo e su quelli che ci portiamo dietro (o dentro) e che possono diventare radici. Ma che fioriranno solo se saremo noi a volerlo.