Voglio vederti soffrire di Cristina Brondoni

Presentato in anteprima all’ultimo Salone del Libro di Torino, esce oggi nelle librerie fisiche e on line Voglio vederti soffrire di Cristina Brondoni (Clown Bianco Edizioni), un multi sfaccettato thriller psicologico che introduce alcuni elementi di novità rispetto al genere considerato che il focus della trama è concentrato più nel delineare la psicologia dei personaggi, dalle vittime all’investigatore incaricato delle indagini, passando naturalmente per quello che si può definire solo come un serial killer. Del resto la Brondoni è una criminologa esperta e nonostante la finzione romanzesca, per cui, come recita la formula di rito ‒ tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo, tranne che per occasionali riferimenti a personaggi pubblici, prodotti o servizi, sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori ‒ siamo antropologicamente a un punto in cui la realtà ha superato la finzione, e quanto descritto nel romanzo è qualcosa che potrebbe accadere, e se è compito di professionisti risolvere e, possibilmente, prevenire il reato, l’attenzione alla psicologia, alla sensibilità, alle emozioni, soprattutto alle deviazioni, resta, forse, l’unica protezione invocabile.

Da qui dobbiamo allora partire per farci una ragione di un aspetto narrativo che in molti potrebbero non condividere: la trama non offre indizi ma vere e proprie risposte man mano che si sviluppa: il chi, come e perché di una furia omicida apparentemente senza motivi (ma esistono mai quelli che si possono realmente, con cognizione di causa, definire motivi?) che sconvolge una torrida estate milanese sono disseminati ben in vista per il lettore che molto prima del giro di boa della metà del romanzo ha già compreso tutto o quasi. L’andare avanti, il continuare a girare le pagine non è dettato né dall’inerzia, né da una volontà masochista che talvolta prende noi lettori e ci porta ad arrivare, sempre e comunque, alla fine del romanzo che stiamo leggendo. No. È, piuttosto, figlia di una fascinazione interiore per cui ogni traccia porta a scoprire qualcosa in più su cosa spinge il personaggio ad agire in un determinato modo, come il passato e il presente si siano stratificati fino alla catarsi finale, un po’ come nelle fiction o in certi programmi tv che si occupano in maniera quasi compulsiva di cosiddetta cronaca nera. Unica differenza: la cognizione di causa e la prospettiva, più profonda e affatto morbosa. Inoltre, particolarmente intrigante, notevole e ricco di incentivi alla riflessione (che fanno la differenza tra un libro e un buon libro e tra un buon libro e una puntata di una qualunque serie o spettacolo televisivo) è lo scarto tra il personaggio e la sua proiezione, ovvero tra il modo in cui vede e considera se stesso e quello in cui lo vedono e lo considerano gli altri. È in questa zona d’ombra che si annida la verità, e verso di essa la scrittura fluida di Cristina Brondoni indirizza l’intelligenza del lettore.

D’altra parte, lo stesso Enea Cristofori, il profiler della polizia scientifica chiamato a occuparsi dei casi è un uomo irrisolto, pieno di contraddizioni e nodi insoluti, ombroso, inquieto. Umano, si potrebbe anche dire. E si direbbe bene. Forse è questo che gli dà una marcia in più nel suo lavoro. Ma cosa c’è nel suo passato che emerge a tratti e a tratti sembra portarlo via, catapultandolo in una dimensione oscura e vischiosa da cui è sempre più difficile scollarsi?

Donata è il ritratto di una normalità agghiacciante, la cui efficienza è la faccia perfetta di una personalità ossessivo-compulsiva che ricorda molto da vicino la Annie Wilkies di Misery non deve morire di Stephen King. Una normalità che, proprio perché compressa in un contenitore forgiato invece per ospitare ben altre aspirazioni, reagisce come chimicamente al solo contatto con un agente estraneo, fino ad esplodere.  Anche nel suo caso c’è un passato da rintracciare, penetrare, decrittare. Ma assolvere? Quale linea insuperabile stabilisce il confine tra la responsabilità degli adulti e le deviazioni congenite di un bambino?

Cattura

Gli altri personaggi, Asia, la sorella gemella di Enea, Gabrio, l’amico fraterno e il collega più stretto, Sara, la tatuatissima collaboratrice della polizia meneghina, rappresentano le metà perfettamente opposte e complementari per costruire una realtà plastica e narrativamente convincente: ironici o cinici, determinati ai limiti dell’aggressività, sicuri di sé ma anche un po’ chiocce.

Poi ci sono i casi. O meglio, di reato propriamente detto ce n’è uno solo: un anziano marito che prende a colpi d’ascia la moglie fino a decapitarla. Le altre sembrano morti accidentali, o per cause naturali, disgrazie che succedono anche se non dovrebbero. Tuttavia, un serial killer può operare per mezzo di un singolo e sistematico modus operandi e mietere vittime su vittime come altrettanti ostacoli di cui sbarazzarsi sulla strada verso il traguardo.

Tre elementi, propriamente narrativi, mi hanno trafitta nella lettura di Voglio vederti soffrire di Cristina Brondoni: l’originalità del primo capitolo, apparentemente una tessera di un puzzle che non si sa bene dove collocare: il lettore resta spiazzato e allo stesso tempo ipnotizzato. Dal secondo capitolo in poi sembra di leggere un altro libro ma il buon senso suggerisce che un legame dev’esserci. Quale?

Il secondo è l’atmosfera: opprimente, schiacciante, spossante, angosciante. Ma è davvero solo colpa di un ondata di caldo anomala?

Il terzo è la geografia che in questo caso fa rima con la claustrofobia che permea l’intero romanzo: va bene il caldo, va bene che ad agosto le città tendono a spopolarsi, ma Milano è pur sempre una metropoli. Da dove deriva veramente il senso di angoscia che accompagna il lettore dalla prima all’ultima pagina? Da un ritmo che annuncia il senso di una disgrazia incombente, certo, ma soprattutto da un guizzo della scrittrice: ogni metropoli è un agglomerato di quartieri e ogni quartiere è un microcosmo a sé stante, il nucleo e il fulcro di una realtà con proprie coordinate e una mappa umana in scala ridottissima.

Perché ogni bravo criminologo sa che un thriller è un genere di fantasia, e la suspense la tensione, il lambiccamento cerebrale contano ai fini della resa narrativa, ma nessuna storia è più fantastica e ricca di emozione della normalità, qualunque cosa questo termine si affanni a indicare. Voglio vederti soffrire di Cristina Brondoni è un romanzo dove il vero carnefice è, appunto, la normalità.

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