Benvenuti lettori a questo resoconto per il Salone del libro. Questo articolo è scritto a quattro mani, io sono Lydia e mi leggerete in blu. Per il quarto anno di seguito ho avuto il piacere di andare al Salone Internazionale del libro di Torino. Penso che sia un’esperienza che ogni amante della lettura dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Ritengo di essere stata doppiamente fortunata quest’anno, perchè ho avuto modo di stare con le mie amiche Sara e Daniela dopo tanto tempo lontane e, dulcis in fundo, perchè ho avuto modo di incontrare Alessandro Baricco.
Cercherò di fare un breve excursus di questo mio salone, Sara sarà sicuramente più prolissa esaustiva, io purtroppo sono potuta stare solamente un giorno, il venerdì e qualche ora il sabato mattina. Il nostro venerdì è cominciato piuttosto bene. Avendo un po’ di firmacopie da fare siamo andate subito alla Tunuè, perchè da brava stalker, avendo praticamente tutta la produzione in commercio di Lorenza Di Sepio già autografata, DOVEVO farmi sketchare Daisy. Poi abbiamo fatto un po’ di giri per stand: Elliot, Regione Umbria in cui mi sono fatta affascinare da un volumetto di aneddoti su vari intellettuali e scrittori (Efemeridi se foste curiosi).
Non potevano mancare le file allo stand Bao per gli sketch: fortunelle quali siamo state, per una volta nella vita non ci siamo trovate dietro al cartello “SONO L’ULTIMO PER ZERO CALCARE” e siamo riuscite ad avere una graphic con disegnetto e autografo. Il nostro pomeriggio si è composto di giri, stanchezza già al primo giorno, cibo e svacco al bar nel padiglione Oval. Ma non sono mancati gli ulteriori giri per stand: alla Newton Compton per comprare il nuovo romanzo di Alessia Coppola, alla Neri Pozza per approfittare del 20% di sconto sui volumi Beat. La mia giornata si è conclusa in coda fuori dalla Sala Oro, per sentire l’evento con Alessandro Baricco, che, come sa chi mi conosce, è il mio scrittore preferito (in vita) ed è stato meraviglioso.
L’evento a cui io e tutta la sala abbiamo assistito era l’ultimo dedicato in Italia a The game, saggio uscito alla fine dell’anno scorso, sulla rivoluzione digitale, che ho letto e apprezzato (come quasi tutto quello che quest’uomo ha scritto) e sancisce definitivamente l’addio dello stesso scrittore ai social. Sono stati interessanti alcuni aneddoti: quando è stato deciso il titolo dell’incontro, per esempio, Game over, dai giornali è stato riportato come il titolo del libro stesso; inoltre Baricco ci ha svelato il suo avere un rito per gli eventi, quello di questa volta è stato il leggere una parte di un capitolo, il penultimo, in cui per sua ammissione “era stanco quando lo aveva scritto”. Ha scelto di leggere quella parte specifica perchè se anche sembra che ormai l’arte, i libri, la cultura siano cambiati e, per certi versi non siano più necessari, in realtà esistono ancora. Gli artisti non sono spariti, sono considerati un bene comune, “non ci perderemo mai veramente finchè avremo un libro in mano“.
Dopo un incontro che ho trovato bellissimo, ho avuto il piacere di incontrare di persona Baricco, di farmi autografare due suoi libri (se avessi portato tutta la bibliografia in mio possesso avrei avuto bisogno della borsa di Mary Poppins per mettere tutto) e di stringergli la mano: un’emozione inesprimibile a parole.
Il resto del mio Salone è stato abbastanza spiccio, ancora un paio di acquisti alla ABE editore e alla Astoria, qualche foto e, il sabato mattina, uscire e rispondere all’affermazione della guardia all’uscita del tunnel per andare in stazione: «È definitiva l’uscita da qui»
«Purtroppo lo so».
Una premessa e una promessa: la premessa è che una barese (o almeno questa barese qui) che va a una fiera (sia del libro, sia di altro) se ne porta sempre, immancabilmente dietro un’altra: la campionaria di settembre, la Fiera del Levante, e neanche dopo anni di frequentazione del Salone di Torino riesce a scrollarsi di dosso la sensazione di déjà-vu di fronte a macchine esposte, stand di laqualunque, chioschetti, padiglioni. Per fortuna c’era l’iconica Torre di Libri a ricordarmi dov’ero e perché c’ero. E l’Oval, dove, va detto, si respirava tutta un’altra atmosfera.
Già, l’Oval. La grande novità di questo Salone 2019, un padiglione ex-novo collegato al corpo centrale da un lungo (lunghissimo per i miei piedi) corridoio dove era dislocata, oltre agli stand delle case editrici dalle più note alle medie, piccole e indipendenti, la leggendaria Sala Oro, location di tutti gli eventi di più forte impatto e richiamo di pubblico insieme alle kilometriche fila per accedervi. Perché sì, questo Salone è stato tutto una fila: dal bar agli incontri passando per il bagno dove ‒ finalmente lo posso dire ‒ ho fatto la fila con Zerocalcare e non solo per Zerocalcare. Perché tra una preposizione e l’altra la differenza è sostanziale e non solo grammaticale!
La promessa (mantenuta) è stata riabbracciare Lydia dopo cinque mesi e riuscire a salutare (quasi tutti) quelli con cui sono spesso in contatto virtuale ma volete mettere il reale? Colleghe e colleghi blogger, addetti stampa, editori, scrittori, lettori: il Salone al di là della rete è un luogo di incontro e di incontri formidabile.
Venerdì: avevo un programma, una scaletta, una serie di appuntamenti. Che è puntualmente rimasta nella borsa sostituita da un work in progress nel senso che cosa fare, dove andare, chi vedere lo si decideva in base al numero di ore di fila che c’erano da fare e la prima è stata naturalmente quella per Zerocalcare. C’è stato un gran dire, lambiccare, giudicare sulla sua decisione di partecipare o non partecipare alla vigilia dell’apertura delle porte del Lingotto, ma per capire veramente bisogna leggere le sue graphic: il personaggio è coerente con la persona, anzi, forse è una delle poche (uniche?) volte che persona e personaggio convivono nello stesso individuo. Te ne accorgi quando dopo due ore di fila per uno sketch sulla nuova versione di Un polpo alla gola te lo trovi lì di fronte che ti porge la mano e si presenta con un: «Ciao, io sono Michele». Un rispetto più semplice, umano e genuino di questo verso noi lettori io, francamente, non l’avevo mai visto. Bye bye Miss American Pie…
Della scaletta alla fine ho tenuto solo gli incontri – e nemmeno tutti – dedicati alla traduzione, al cosiddetto autore invisibile, e mai definizione fu più azzeccata, ma non starò qui a tediarvi coi dettagli. Sono incontri molto validi ed è una fortuna che il Salone li organizzi; sono, non lo nego, più nozionistici che altro, ma hanno il vantaggio di offrire proprio quelle nozioni che nei corsi più o meno accademici e strutturati nessuno ha il coraggio di dire. E di farti anche capire perché.
Il resto della giornata si è trascinato nella #sfattezza (con l’hashtag, mi raccomando). Non so più chi per prima tra me, Lydia e Daniela – la nostra collega di Leggendo a Bari – se n’è venuta fuori con questa definizione ma fatto sta che ci ha accompagnate per tutta la durata della kermesse: un miscuglio di stanchezza, stordimento, confusione (per quanto mi riguarda ci aggiungerei vecchiaia) per cui prima di lasciare Lydia al suo Baricco e stravaccarci al bar di fronte alla Sala Oro, ci siamo trascinate da uno stand all’altro, prive di rotta e cognizione di causa, ma non di voglia di acquistare libri su libri, sicché alla fine del primo giorno in saccoccia c’erano già il succitato Un polpo alla gola (Bao), L’ultima lettera d’amore di Jojo Moyes, La cugina Phillis di Elizabeth Gaskell (entrambi Elliot), Sherlock Holmes di (Abe), March il padre delle piccole donne, La libreria di Zia Charlotte (Beat).
Sabato: la giornata è iniziata con una abbondante colazione e una scoperta stupefacente: nei bar di Torino servono il bicchiere d’acqua insieme al caffè!!! Se non siete meridionali non potete capire: quella dell’acqua offerta insieme al caffè è una nostra tradizione da secoli (?!), un piccolo gesto che però ci ha sempre fatti sentire più generosi dei nostri fratelli maggiori (in senso geografico, eh). Ero abituata a chiedere (e pagare) l’acqua a parte nei bar del settentrione e invece scopro che Torino si è civilizzata è cambiata. Ma forse questo significa solo che l’Italia è una e indivisibile, anche sul bicchiere d’acqua insieme al caffè.
Ma torniamo al Salone. Inebriata da questa scoperta, ritemprata da un cappuccino con doppio caffè, un croissant e un bombolone, ho recuperato il mio programmino e per prima cosa mi sono fatta il giro degli stand degli editori coi quali mi capita di collaborare e che volevo salutare di persona almeno una volta all’anno. Non farò l’elenco, che non è nemmeno troppo lungo in verità, ma lungo rischia di diventare questo articolo. Anche perché la tappa successiva è stata sicuramente più interessante: il seminario organizzato da Newton Compton sul tema Il romance salverà l’editoria? A parlarne c’erano Felicia Kingsley e Anna Premoli.
Ora, se lo chiedete a me, la risposta è: probabilmente sì. E questo lo dico in veste di traduttrice, editor e correttrice di bozze, mestieri che mi consentono di avere un minimo il polso della situazione (vendite). La Kingsley e la Premoli, però, lo hanno detto meglio: leggere rosa non significa essere lettori di seconda o terza categoria, specie se si è di sesso femminile, anche perché tra una scena d’amore e l’altra le autrici di romance, quelle brave, sanno infilare temi femministi per eccellenza senza la retorica politica che talvolta li fa apparire pedanti e oltranzisti. E non si tratta di un femminismo soft, attenzione, ma di qualcosa di più dinamico e tagliato sui tempi che viviamo, per cui libertà – per una donna – è anche leggere un romanzo rosa senza sentirsi giudicata o sminuita (o nel mio caso tradurre, editare, correggere senza sentirmi professionalmente svalutata o sottovalutata).
Il tempo di salutare Lydia che tornava a Genova, e con Daniela ci siamo fiondate a salutare Alessia Coppola che era in firma copie, sempre per la Newton, con il suo nuovo, nuovissimo La ragazza del faro (uscito giusto il 9, giorno di apertura del Salone). E poiché sabato 11 era (non a caso) la giornata del rosa alle 16.30 eravamo già in fila per uno dei big show del SalTo di quest’anno: l’incontro con Sophie Kinsella e Jojo Moyes, che era fissato per le 17.30 strette tra Saviano (16.30) e Jovanotti (18.30). Tutti infilati in Sala Oro, all’Oval, le file erano tre, come le ciocche per fare una treccia, perciò immaginatevi il caos e la disperazione degli addetti alla sicurezza per mantenere un minimo d’ordine ma a parte la situazione complessiva di confusione al limite dell’esasperazione, quando hanno iniziato con le transenne e i nastri per delimitare le code, pareva di essere sulla scena di un crimine più che a una fiera del libro. E chissà che qualche crimine non ci sia stato, dopo, a casa di quella coppia il cui marito era stato obbligato dalla moglie a fare la fila per tenerle il posto mentre lei si aggirava tra gli stand.
L’incontro in sé è stato appunto uno show: una scrittrice presentava e moderava l’altra, con l’interprete in mezzo, bravissimo non solo a tradurre le parole ma anche le sfumature teatraleggianti delle due autrici: istrionica la Kinsella, tutta “amazing!” e sbrilluccichii; più pacata la Moyes che ha spiegato quanto le differenze generazionali influiscano sulla comunicazione e, per traslato, sulle relazioni sentimentali; quanto lavoro c’è per uno scrittore dietro ogni singola parola affinché sia proprio quella giusta, che il percorso di Louisa Clarke non poteva concludersi con la morte di Will Trainer perché la sua storia era una quête alla ricerca di risposte a domande quali: chi sono? Cosa si può fare nella vita per essere felici? Come venire a patti con quello che invece la vita ha deciso per te. Perché, si sa, niente nella vita va come lo abbiamo immaginato ma sempre nel verso contrario.
Alla fine di nuovo in coda per firma copie e foto di rito.
Libri acquistati sabato: Amor di Eva Clesis, Requiem del Dodo di Arianna Gasbarro (Miraggi Editori), Il piano inclinato, Tenebre, La misura imperfetta del tempo (Las Vegas Edizioni), Una vita da signorine di Miranda Miranda (Scrittura&Scritture), La ragazza del Faro di Alessia Coppola (Newton Compton).
Domenica: non poteva che essere una #domenicaadelphi con una #storiaallaNN. Non avevo mai avuto il coraggio di mettere piede allo stand Adelphi durante il Salone. Avete presente quando siete innamorati e avete paura di lasciarvi andare, di far cadere completamente le difese, arrendervi, perdere il controllo? Ecco, questa sono io con Adelphi. Mi ha un po’ aiutata Daniela che, regalandomi due dei titoli Adelphi che mi ero riservata per il Salone (le Fiabe dei Fratelli Grimm e Maria Antonietta e lo scandalo della collana di Benedetta Craveri), ha attenuato in parte il timore di dover pulire tutti i bagni e lavare tutti i piatti dei ristoranti terrazzati del Salone. Ho preso solo due libri, uno dei quali, Coppi e Bartali di Curzio Malaparte era un regalo alla memoria nel giorno del 78° anniversario di nozze dei miei nonni che amavano le loro sfide e me ne raccontavano le gesta quando ero bambina. Entrare in Adelphi è comunque una sensazione indescrivibile, il cuore che accelera, il respiro che si accorcia. Se esiste un Paradiso ha i colori pastello dello stand Adelphi.
Lo stand NNEditore assomiglia invece un po’ al Giardino dell’Eden, con al centro l’albero della conoscenza e la mela tentatrice: non è necessario alcun serpente. Ho morso La memoria della cenere di Chiara Marchelli e Le cose che restano di Jenny Ofill. Dannata ma felice.
Tra una cosa e l’altra c’era una festa di compleanno da festeggiare: la Bao Publishing compie 10 (anzi X) anni e tutti in Sala Oro a cantargli tanti auguri con tanto di cappellino. 10 anni di storie e di autori, di aneddoti (Daniel Cuello che fa scuocere la pasta ha fatto scandalizzare tutti, ma è talmente dolce che lo abbiamo perdonato all’unanimità). Come nasce una graphic? Come lavora ogni singolo autore? Quanti battiti di cuore al secondo perde Michele Foschini quando si avvicina una scadenza di consegna e le bozze non sono ancora arrivate? Tra chiacchiere, risate, stalker (buoni) di Zerocalcare (Daniela…) che diventava rosso un complimento sì e l’altro pure… mancava giusto la torta con le candeline. Non fosse altro che si era giusti giusti all’ora di pranzo e ci sarebbe stata alla perfezione.
Nel pomeriggio, omaggio alla mia città e ai suoi scrittori d’eccezione: Gianrico Carofiglio ci aspettava per parlarci de La versione di Fenoglio che non mi sono fatta autografare perché avevo lasciato a casa la mia copia.
Altro giro e altri acquisti (la raccolta Oltre lo Specchio di Alessia Coppola, Edizioni il Ciliegio) e poi ritorno alla base.
Lunedì: no, niente Salone. A parte gli orari stretti e il portafoglio vuoto, c’era l’ansia da prestazione del bagaglio; registrato per 20 kg ma con 23 libri dentro (a tutti gli altri si erano aggiunti L’inverno del nostro scontento e Rebecca la prima moglie regalati da Lydia – le amiche che amano i libri si incontrano per gli eventi librosi e si regalano altri libri) la strizza di un’ulteriore franchigia c’era eccome. Mi sono limitata agli acquisti extra Salone: biscottini per il mio cane, cioccolatini per la mamma.
Con qualcuno che fischiettava Bella Ciao, alle 17.00 eravamo in aeroporto per il ritorno.
Bye Torino, chissà se ci rivedremo…