Vivere per sempre, o comunque il più a lungo possibile. Arrivare a cent’anni con un fisico e una mente paragonabili a quelli di un quarantenne. È la distopia (o utopia?) narrata in Suicide Club da Rachel Heng (editrice Nord), un romanzo che affascina, turba, riflette, si riflette, fa riflettere su un tema che va decisamente oltre la fantasia perché parte da presupposti non solo realistici ma addirittura attuali, grazie ai progressi medico-scientifici e a una sempre maggiore attenzione verso l’alimentazione e l’attività sportiva. Ma è davvero quello che vogliamo o è piuttosto un’altra velleità che ci impone la società in cui viviamo?
Apparentemente, Lea Kirino lo vuole davvero. Ha cent’anni ma ne dimostra meno di quaranta, è nel pieno della salute, non mangia cibi grassi (Nutripak in porzioni da assumere ogni mezz’ora per garantire un rilascio ottimale dei nutrienti durante il giorno, verdure crucifere e niente carboidrati né cibi trad come le proteine animali), non beve alcolici (al massimo si concede uno Spritz vitaminico o all’alga spirulina), fa esercizio fisico quotidiano, si concede due ore di meditazione ogni notte, va regolarmente dalla sua Curante per farsi iniettare NuovoSangue™, innestare PelleDiDiamante™ e MuscoliDiFerro™, ha un lavoro di prestigio, un compagno più giovane con il quale potrebbe procreare il figlio perfetto. È, insomma, la candidata ideale per essere ammessa alla Terza Ondata, quella che porterà all’immortalità. Le basta tuttavia una distrazione, solo una, uno sguardo di sfuggita a un uomo mentre attraversa la strada, per finire Sotto Osservazione del Ministero della Sanità (che, a quanto pare, controlla tutto e tutti), come gli Empi. Come suo padre. L’uomo che a Lea è parso vedere dall’altra parte del marciapiede e per raggiungere il quale – non si vedono da ottantotto anni – è quasi finita sotto una macchina. Ma come fa a spiegarlo a quelli del Ministero senza tradire il suo segreto? Come fa a spiegare che non stava cercando di ammazzarsi – nessuno ama la vita più di lei – ma solo di riannodare un filo emotivo che credeva spezzato per sempre?
Tanto vale andare a quelle benedette sedute di recupero, anche se non ne ha bisogno. L’importante è farsi togliere dalla Lista di Osservazione e trovare suo padre, ma meglio se le due cose non entrano in collisione. Ed è proprio cercando di mantenere questo equilibrio disperato che Lea entrerà in contatto con un’altra realtà, quella del Suicide Club, un gruppo organizzato che ha deciso che abdicare alla vita è essenziale tanto quanto l’abnegazione che il nuovo stato sociale impone alla stessa, che il libero arbitrio vale più di una pelle capace di autorigenerarsi, che scegliere cosa fare è un diritto più indispensabile della promessa di eternità, che «nel privarci della morte, ci privano della vita». Ed è a questo punto che tutte le certezze accumulate da Lea in cent’anni sono costrette a confrontarsi con ricordi sepolti, segreti, persone, storie che non pensava di conoscere, scelte che non credeva di avere.
La genialità di questo romanzo sta nell’estremizzare elementi che già esistono nel nostro quotidiano rendendo dunque l’alternativa distopica una possibilità concreta, o almeno una consistente probabilità. Perché, se non ancora coartati a seguire un certo tipo stile di vita, di sicuro non mancano, nella nostra vita di tutti i giorni, i reiterati inviti, sotto diverse forme, ad abbracciare un’alimentazione più sana, a praticare discipline che possono equilibrare mente e corpo (mente sano in corpo sano è una delle frasi che attraversano questo libro di pagina in pagina), a prediligere tutto ciò che può aiutare ad allungare la vita, la cui durata è già notevolmente cambiata nell’ultimo mezzo secolo. È attualità e non virtualità, realtà e non potenzialità, norma e non moda. Partendo da fondamenta concrete, da un presente vivo e contingente e in uno stile perforante, Rachel Heng costruisce un’impalcatura narrativa che svetta verso un futuro nemmeno troppo lontano. Dona, in altri termini, una rinnovata cifra di lettura al genere distopico pur accordandosi perfettamente con la tradizione, ricordando il Mondo Nuovo di Huxley e 1984 di Orwell, di cui, a mio parere, raccoglie il testimonio, dimostrando una stupefacente lucidità e profondità di analisi di taluni fenomeni in atto, risvolti etici inclusi.
Perché, va detto, sotto la superficie distopica, suggestiva, seducente, e così avvincente da far letteralmente scivolare il libro, si concentra un nucleo dinamico ad alta frequenza filosofica: a cosa serve l’immortalità? La fanatica volontà legata alla conservazione del corpo, preminente rispetto allo spirito, implica che la nostra società sta andando verso una forma di materialismo assoluto? Quali spazi riserviamo al nostro libero arbitrio? E soprattutto, è ancora nostro? Una sequenza di domande che scavano dentro il lettore, portandolo a interrogarsi e confrontarsi, come ho deciso di fare io ponendo alcune domande alla Dottoressa Paola Laghetti, ricercatrice e biologa nutrizionista.
Il romanzo immagina un mondo distopico dove si è raggiunta la soglia dell’immortalità. Alla base di tutto c’è un’alimentazione ipersana e uno stile di vita che monitora costantemente i livelli di cortisolo. Quanto c’è di vero nella possibilità questi elementi possano influire positivamente sulla qualità e durata della vita?
Come diceva il filosofo Fauerbach: «noi siamo ciò che mangiamo». Tutto ciò che introduciamo nel nostro corpo attraverso l’alimentazione andrà a costituire le nostre cellule e i nostri tessuti e interverrà nelle reazioni chimiche che avvengono quotidianamente nel nostro organismo. Di conseguenza, la qualità degli alimenti che consumiamo andrà a influire sulla qualità dello stato di salute del nostro organismo. Nel romanzo questo concetto è estremizzato. Tralasciando patologie genetiche o con un’eziopatogenesi più complessa, la maggior parte della popolazione soffre oggi di malattie metaboliche, quali diabete di tipo 2, ipercolesterolemia, obesità, ipertensione o altre malattie cardiovascolari. Tutte queste patologie sono fortemente legate allo stile di vita e sono dunque prevenibili. Un’alimentazione ricca di carboidrati e zuccheri raffinati associata a una scarsa o nulla attività fisica, aumenta tantissimo il rischio di sviluppare prima un’intolleranza al glucosio e poi un vero e proprio diabete di tipo 2. Un’alimentazione ricca di grassi saturi porta a un aumento dello stato pro-infiammatorio, a un irrigidimento delle pareti vascolari e a un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari (es. ictus). Al contrario, un adeguato consumo di pesce, in particolare di quello “azzurro”, fornisce una giusta quantità di omega3, acidi grassi buoni, fondamentali nella prevenzione delle patologie neurodegenerative. Per quanto riguarda il cortisolo, anche in questo caso il romanzo non si discosta molto dalla realtà. Il cortisolo è definito l’ormone dello stress e viene prodotto dall’organismo sia in situazioni di stress fisico che di stress emotivo. Riuscire a mantenere i livelli di cortisolo nei range fisiologici, sicuramente aiuta a mantenersi in salute più a lungo.
A proposito di alimentazione, Suicide Club descrive una società che ha eliminato carboidrati, grassi, alcolici, praticamente tutto. Sono rimaste quasi solo proteine di tipo sintetico. Al di là della finzione, come funzionerebbe davvero il corpo umano senza tutti questi elementi?
Anche in questo caso il romanzo estremizza uno stile di vita alimentare che, anche se per periodi di tempo abbastanza limitati, viene utilizzato regolarmente nella pratica dietetica. Esistono diete che prevedono l’eliminazione per un determinato periodo di tempo di grassi e carboidrati, con un consumo quasi esclusivo di proteine. Queste diete permettono di spingere il corpo verso l’utilizzo del tessuto adiposo come fonte energetica e di conseguenza vengono usate per favorire la perdita di peso. Questo tipo di dieta può essere quindi ottimale per soggetti in forte sovrappeso o obesi, ma non è un’alimentazione sostenibile, ad esempio, da chi non ha necessità di perdere peso o da chi pratica anche una blanda attività fisica, in quanto necessita anche dell’energia fornita dai carboidrati. Le proteine sono fondamentali per il nostro organismo e non possiamo eliminarle dalla nostra dieta: tutti gli enzimi, gli anticorpi, le strutture cellulari sono fatti di proteine. Chi ha un’alimentazione povera di queste macromolecole, ha anche una scarsa massa muscolare che è la parte metabolicamente attiva del nostro corpo. In questi soggetti, lo scarso apporto di proteine alimentari fa sì che queste vengano recuperate dai muscoli, portando a una perdita di massa muscolare e a un peggioramento dello stato metabolico generale. Anche i grassi, spesso demonizzati, sono fondamentali. Non dimentichiamo che le stesse pareti delle nostre cellule sono fatte da grassi (fosfolipidi). Quindi è importante fornire un giusto apporto di grassi, prediligendo quelli buoni (acidi grassi mono e polinsaturi come omega3, omega6 e omega9) a sfavore di quelli “cattivi” (acidi grassi trans e acidi grassi saturi). I grassi oltre ad avere un ruolo strutturale hanno anche un ruolo energetico nel nostro organismo. I carboidrati invece hanno un ruolo prettamente energetico e al contrario di grassi e proteine, non sono indispensabili nella nostra alimentazione. Ci sono alcune patologie, come l’epilessia farmaco-resistente che colpisce già in tenera età, la cui sintomatologia è fortemente ridotta da un’alimentazione specifica che prevede l’eliminazione totale dei carboidrati e l’uso solo di proteine e grassi. Effettivamente, i carboidrati non sono indispensabili nella nostra alimentazione, ma una loro eliminazione completa non è necessaria se non in casi di patologie come quella descritta precedentemente o in particolari schemi dietetici volti al dimagrimento e alla perdita di peso.
Un alimento sostitutivo spesso citato nel romanzo è il Nutripack, un concentrato di sostanze nutritive che copre il fabbisogno energetico giornaliero senza dover assumere altri cibi. Come già sottolineato, il romanzo porta la storia a un livello di estremizzazione funzionale alla trama che si vuole raccontare, ma in realtà esistono già in commercio prodotti di questo tipo che promettono di perdere peso in un tot di giorni. Alcuni li descrivono come miracolosi, altri come imposture. Di che cosa si tratta in effetti? Sono davvero efficaci o sono, appunto, insidie che alleggeriscono solo il portafoglio di chi le acquista?
Mi stupisco ancora una volta di quanto il romanzo si avvicini alla realtà. In effetti esistono dei prodotti sostitutivi dei pasti ma bisogna distinguere bene le diverse tipologie presenti in commercio per non incorrere in bufale. Ci sono quelli che mimano in tutto per tutto una serie di alimenti, anche quelli normalmente riconosciuti come junk food (patatine, cornetti, ecc), con una composizione chimica ricca in proteine e fibre e povera di grassi e carboidrati. Questi alimenti possono essere prescritti solo dal medico o dal biologo nutrizionista che strutturano un piano alimentare bilanciato e limitato nel tempo, dopo aver verificato l’assenza di condizioni patologiche che ne controindicano l’utilizzo. Questi prodotti sono dunque molto efficaci ma è importante che vengano usati sotto controllo di un professionista. Non possono essere usati a vita ed è molto importante che anche il ritorno a un’alimentazione di tipo tradizionale sia fatto gradualmente e sotto controllo di uno specialista. Mi sento invece di sconsigliare tutti quei prodotti che promettono una rapida perdita di peso e che possono essere acquistati in autonomia e autosomministrati. L’unico segreto per avere un corpo sano e in forma è quello di prendersene cura, tramite un’alimentazione varia e bilanciata con tutti i nutrienti necessari e aumentare il dispendio energetico tramite una costante attività fisica.
Cosa intendete davvero voi biologi nutrizionisti per mente sana in corpo sano?
Uno stile di vita sano per noi nutrizionisti è da intendersi come un connubio di corretta alimentazione e attività fisica. Una sana alimentazione è costituita da cibi minimamente processati e il più possibile vicina ai precetti della dieta mediterranea, caratterizzata dal consumo abbondante di frutta e verdura, legumi, cereali integrali e proteine animali che derivino principalmente dal pesce e dalla carne bianca e in minima parte dalla carne rossa. Questo tipo di alimentazione permette di fornire tutti i micro e i macronutrienti necessari al nostro organismo per svolgere le sue funzioni al meglio. La quantità di macronutrienti (carboidrati, grassi e proteine) non è uguale per ogni individuo: uno sportivo avrà sicuramente una richiesta di nutrienti maggiore rispetto a un soggetto sedentario, così come un soggetto in sovrappeso avrà un fabbisogno di carboidrati inferiore a quello di un soggetto con peso forma. Ugualmente, l’attività fisica dovrebbe essere un elemento costante della vita quotidiana in quanto è alla base della delle malattie metaboliche. Non dimentichiamo che da un punto di vista evoluzionistico, l’uomo non si è sviluppato per essere un animale sedentario, ma per muoversi costantemente, con più o meno intensità. Per questo motivo in un corpo sano non può mancare una muscolatura forte e vigorosa costruita con la giusta attività fisica.
Lei è anche ricercatrice. Nel romanzo la tecnologica farmacologica si è spinta fino al punto di creare delle vere e proprie fabbriche di organi che vengono ciclicamente sostituiti per aumentare la loro durata e quindi la vita. Da un certo punto di vista sarebbe quasi un sogno – penso a tutti i malati che in tal modo potrebbero trovare una soluzione – dall’altro è eticamente aberrante pensare che un organo sia trattato alla stregua di un pezzo di ricambio automobilistico. Lei cosa ne pensa? E a cosa serve realmente la ricerca medica?
La ricerca medica è alla base del progresso scientifico ed è il motivo per il quale oggi possiamo vantare un’aspettativa di vita triplicata rispetto a qualche decennio fa. Esistono diversi tipi di ricerca medica. C’è quella farmacologica, svolta dalle grandi aziende farmaceutiche, che ha il compito principale di mettere a punto nuove molecole per curare le malattie. Poi esiste la ricerca medica di base, che è svolta di solito a livello universitario e studia i meccanismi biologici fisiologici e patologici. Personalmente non aborro l’idea (nel futuro) di avere delle fabbriche di organi in grado di produrne, sebbene i risvolti etici di questo non sono da sottovalutare. In realtà, già oggi esistono aziende di questo tipo che si occupano di bioingegneria cellulare e tissutale per la produzione di innesti cutanei o ossei. Di solito questi impianti derivano da cellule dello stesso paziente per evitare fenomeni di rigetto, fatte crescere su apposite matrici impiantate sulla zona lesionata. In un futuro alternativo nel quale la tecnologia è in grado di produrre organi che non causino fenomeni di rigetto sarebbero risolti molti problemi legati al mondo dei trapianti. Infatti un organo vitale danneggiato può essere sostituito tramite donazione da soggetto vivente o cadavere. Tuttavia nonostante si usino organi immunologicamente compatibili, è necessario comunque ricorrere a una più o meno intensa terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto dell’organo trapiantato. L’immunosoppressione tuttavia ha un prezzo da pagare, ovvero espone il paziente ad un più alto tasso di infezioni e tumori. Per questi motivi sarebbe un notevole progresso scientifico essere in grado di creare organi perfettamente biocompatibili, in futuro. In definitiva, il vero problema etico è l’immortalità, più che il trapiantare o meno.
Prodotti perfettamente sostitutivi dei pasti, bioingegneria cellulare… siamo davvero sicuri che Suicide Club di Rachel Heng sia solo un romanzo, un’invenzione fantastica, o siamo davvero vicini a raggiungere il traguardo dell’immortalità? E, in questo caso, noi cosa scegliamo?