Come nasce un capolavoro narrativo? Una formula magica non esiste e nemmeno la cieca fortuna può entrarci più di tanto. C’è un talento che si mette al servizio della creatività e non il contrario; c’è una scrittura capace di radiografare la storia come i raggi X emessi da un tubo röntgen lasciano sulla pellicola fotografica l’impressione di un corpo umano. Sono queste le prime considerazioni che vengono in mente dopo la lettura di Quella metà di noi di Paola Cereda, Giulio Perrone Editore: un libro potente, ispirato, elegiaco. Se non fossimo solo a febbraio, non avrei remore a definirlo il più bel libro dell’anno (ma diamo tempo al tempo e possibilità a tutti).
In una Torino affatto calligrafica ma guizzante e multietnica, e ciononostante ancora saldamente attaccata alle passate barriere socio-economiche, la maestra in pensione Matilde Mezzalana si reinventa badante insistendo con la vita «anche quando la vita le si rivoltava contro per dire no, cara, ti stai sbagliando: non ne vale la pena».
Il suo assistito è un ex dirigente della Fiat che ha vissuto prima in Brasile e poi in India e che, a causa di un ictus, è adesso costretto a trascorre quel che resta dei suoi giorni su una sedia a rotelle, trasformato nel corpo, nella mente, nella percezione del tempo e dello spazio, nei modi e nei desideri. E la questione è proprio questa: perché una maestra in pensione, vedova, con una casa di proprietà in un quartiere periferico, quasi un microcosmo, uno specchio degli attuali cambiamenti molecolari del tessuto antropologico di cui è fatta la nostra Italia, con un’unica figlia in pre-collina – Emanuela – veterinaria, sposata a un dentista e madre di due figlie adolescenti, perché, dunque, questa donna normale decide di cambiare cateteri e pannoloni invece di godersi la pensione, la libertà, le nipoti, quel singhiozzo di famiglia che le resta, insomma? Non è un interrogativo. È un segreto quello che Matilde nasconde, anzi omette:
«Un segreto è una verità omessa, un pezzo di intimità preservata, una decisione da esporre in caso di pericolo personale.
[…]
I segreti sono?
Spazi di intimità da preservare, nascondigli per azioni incoerenti, fughe, sguardi, libertà particolari, il trucco che nasconde l’evidenza, pozze in cui saltare a piedi scalzi, regali senza mittente, errori, vendette. Persone amate. »
Un segreto è soprattutto l’incolmabile distanza tra una madre e una figlia.
Senza alcun intento didattico o pedagogico, Quella metà di noi di Paola Cereda è un romanzo che racconta con passione gesti e fatti minimi, quotidiani, senza timori e incertezze, perché il banale non esiste, un romanzo che per dirla con Cesare Zavattini dimostra una «totale fiducia nella realtà (…) perché non c’è dubbio che la prima e più superficiale reazione alla realtà di tutti i giorni è la noia. Ma la realtà è enormemente viva, basta saperla guardare».
Ed è esattamente ciò che fa la penna di Paola Cereda: guardare la realtà. Quella di Matilde, di Emanuela, dell’Ingegner Dutto e di sua moglie Laura, della loro colf rumena Dora, di Carmen, Moreno, del dirimpettaio Lazzi, come se la penna fosse una videocamera e le parole fotogrammi che stringono sempre più il campo fino a inquadrare l’anima di ognuno, scavando con una potenza comunicativa capace di scoprire i valori umani più nascosti senza giudicarli: oggi che abbiamo fatto della vita quotidiana uno spettacolo da dare in pasto a tutti e a chiunque l’autrice è capace di riportare la realtà alla sua dimensione più autentica, intima, privata, perché il vero spettacolo non è l’eccezionale ma il normale, lo stupore che deriva dalla scoperta che ogni cosa è importante, ogni vita, ogni gesto, ogni umore, ogni deviazione, omissione, emozione.
Stilisticamente, Quella metà di noi è un modello della esatta concezione delle cose da dire, un uso perfetto di ogni parola, un formidabile sincretismo tra quantità e qualità del lessico e del linguaggio. Anche nell’uso del dialetto o della babele linguistica che caratterizza il suono del quotidiano, più attaccato alla realtà di una traslata lingua letteraria quale l’italiano, e dunque più essenziale, più ritmica, più poetica, più abile a cogliere l’essenza della verità.
Quella metà di noi ruota attorno a un segreto, ma lascia al lettore accoglierlo o rifiutarlo, lo lascia emozionarsi, forse indignarsi; suscita solidarietà con alcuni personaggi e disapprovazione verso altri, approfondendo ogni solco psicologico non perché Paola Cereda sia, di professione, psicologa, ma perché la psicologia è uno tra i tanti dati della realtà.
Questo romanzo è una sorta di elegia del presente, un romanzo duro, difficile, forse problematico, forse ingrato, certamente non idilliaco ma che insegna al lettore a non avere paura di essere scoperti, a non mentire a noi stessi, a sapere, a pensare, a essere e sentirsi responsabili perché: «Chi non ha qualcosa da nascondere, ha almeno una verità da raccontare».