Se togliamo a Buongiorno, mezzanotte di Jean Rhys (Adelphi Editore) la forte immedesimazione del lettore con le sensazioni descritte, il vissuto e i ricordi che evoca, quello che resta è una storia bella, sì, intensa e toccante ma con una trama sottile, lieve come un fiocco di neve che si scioglie al solo contatto con la terra. Che poi è la metafora perfetta di quelle vite che si consumano come candele che ardono al buio, proiettando ombre piuttosto che luce, vite il cui unico obiettivo è arrivare a fine giornata, prendere una dose, più o meno generosa, di Luminal e svegliarsi l’indomani per…
«Mangiare, bere, camminare, trottare. Di ritorno all’albergo. All’albergo dell’Arrivo, all’albergo della Partenza, all’albergo del Futuro, all’albergo della Martinica e dell’Universo… Di ritorno all’albergo senza nome della strada senza nome»
Perché questa è la vita di Sasha, un piccolo gesto dopo l’altro, la prova di un vestito, l’acquisto di un paio di guanti, incontri casuali che vanno, tornano, ma resteranno? È venuta a Parigi da Londra, Sasha, insieme a un uomo che a un certo punto l’ha abbandonata, chiedendole perché non fosse annegata nella Senna, piuttosto. Ma è solo questo? Un amore sfortunato può essere l’unica ragione per cadere in uno stato che più che depressivo si potrebbe definire di anedonia, di totale apatia, indifferenza verso la vita, quello stato per cui chi ne è colpito è capace – e non senza difficoltà – solo di compiere i gesti minimi della vita quotidiana?
Di fatto, pur labile, la trama racconta di Sasha molto più di quello che appare in superficie, anzi: è proprio lei a raccontarlo in un dialogo con se stessa continuo eppure frammentario, ma non per questo meno spietato e tagliente.
La storia di Sasha, a dirla tutta, è un’eco della storia di Jean Rhys che prima del grande successo de Il grande mare dei Sargassi (il romanzo che narra del viaggio dalla Giamaica all’Inghilterra di Antoinette/Bertha, la prima moglie del Mr Rochester protagonista di Jane Eyre di Charlotte Brönte), fu spronata da Ford Madox Ford a mettere nero su bianco la sua tristesse, le sue manie, le ossessioni («la mia vita, in apparenza tanto semplice e monotona, in realtà è tutta una complicata faccenda di bar dove sono ben accetta e bar dove non mi vogliono, di strade amiche e strade minacciose, camere dove potrei essere felice e camere in cui non lo sarò mai, specchi in cui mi vedo carina e specchi dove sono brutta, abiti che mi portano fortuna e abiti che portano sfortuna; e così per tutto il resto», la dipendenza dall’alcool, lo spaesamento, l’infelicità, lo spleen e il senso di sconfitta.
Buongiorno, Mezzanotte è il racconto del luogo oscuro in cui precipitano le anime sensibili affidato alla pagina con potenza ma anche con violenza e cinismo: nulla è risparmiato e se ci si trova a provare un minimo di empatia con la protagonista non è semplice compassione: è empatia nel suo significato più intimo e vero. Empatéia, da en più pathos: soffrire con, insieme. Perciò ogni volta che vi troverete a leggere e sottolineare una frase, potete giurarci che a muovere la mano sarà un moto irresistibile dell’anima che ha stabilito un contatto con quel dolore perché lo riconosce come proprio.
Perché è questo che è questo libro: un libro di contatti, dolore e specchi: specchi in cui ci riconosciamo oppure no. E fortuna è per chi non vi si riconosce.
«…Ora di me so tutto, so proprio tutto. Me lo avete detto tante volte. Non mi avete lasciato nemmeno uno straccio di illusione per riscaldarmi dentro. Ma per Dio, so anche quel che siete voi, e non farei a cambio per tutto l’oro…
Tutto è sciupato, distrutto. Ma non piangerci sopra. No, sicuro che non ci piango… ma che possiate farvi a pezzi tra voi, maledette iene, e prima è, meglio è…. Che crepi, che finisca, questa fredda follia. Che vada a rotoli tutto. Finalmente»
Lo stile è drammatico in senso teatrale, leggendo pare quasi di assistere a una performance su un palcoscenico, ma il vero dramma è che Buongiorno, Mezzanotte di Jean Rhys, con i suoi chiaroscuri, con i suoi contrasti (la luce serve per far risaltare il buio, il riso per far risaltare il pianto), non è una finzione ma la maledetta realtà.