Un mese fa circa, giorno più giorno meno, ho fatto un piccolo giochino su Instagram. Ho chiesto ai miei (pochi, ma buoni) followers di suggerirmi una lettura. I consigli sono stati tanti e tutti diversi, e per rendere il gioco ancora più partecipativo e coinvolgente, ho chiesto di scegliere, attraverso una serie di sondaggi, un solo libro che avrei poi inserito nella mia TBR list di ottobre. Il vincitore è stato Il vangelo secondo Biff di Christopher Moore, un libro che non conoscevo e che mi ha sorpreso con le sue pagine scanzonate e solo apparentemente leggere e dissacranti.
Se non perché convinti cristiani, almeno per le lezioni di catechismo o per sentito dire: tutti conosciamo la figura di Gesù Cristo, figlio di Dio. Conosciamo i (pochi) dettagli della sua nascita – che ripercorriamo ogni anno a Natale con il presepe – e quelli della sua morte per crocefissione – che ripercorriamo ogni anno a Pasqua –, ma sappiamo anche cosa c’è stato nel mezzo: tre anni di predicazioni, parabole e miracoli. Tutto quello, cioè, che ci è stato raccontato dai cosiddetti vangeli sinottici (Luca, Marco e Matteo) più il vangelo di Giovanni (che insieme agli atti degli Apostoli, e all’Apocalisse formano il Nuovo Testamento). Ma se ci fosse un’altra versione della storia? Un altro vangelo, un altro apostolo escluso dalla tradizione?
L’idea in sé non è nuovissima: esistono già i vangeli apocrifi, tra cui i vangeli dell’infanzia che dipingono un Gesù Bambino non precisamente modello. Esiste, nella letteratura vulgata, un libro come Per amore, solo per amore di Pasquale Festa Campanile, che racconta una sorta di vangelo secondo Giuseppe, il padre putativo e riparatore di un’immacolata concezione. Originale, invece, è la nuova cornice in cui Moore inquadra la storia: dopo duemila anni, Raziel, il più terribile degli angeli, resuscita Levi detto Biff, migliore amico d’infanzia di Gesù, tredicesimo (e sconosciuto) apostolo, gli fa il dono delle lingue, lo chiude in una stanza d’hotel in una città statunitense, e mentre lui, l’angelo, ha più di una complicazione a separare la realtà dalla finzione, si nutre di cibo spazzatura e fa scorpacciate di soap opera e serie tv, Biff riedifica la storia sua e di Gesù, con il quale ha condiviso esperienze, avventure, equivoci e angosce, obbligato a scrivere tutta la verità e nient’altro che la verità, tutte le azioni compiute dal futuro Messia dall’infanzia in poi, cose che nessuno ha scritto mai, cose dalle quali emerge una figura del Figlio dell’Uomo più umana che mai, cose che solo oggi potrebbero essere pienamente comprese e accettate.
“Padre che stai nei cieli, Dio di mio padre e del padre di mio padre, Dio di Abramo, di Isacco e di Mosé – che guidò il nostro popolo fuori dall’Egitto – Dio di Davide e Salomone… Be’, insomma, lo sai chi sei. Padre che stai nei cieli, lungi da me l’idea di mettere in discussione la tua capacità di giudizio, essendo tu l’Onnipotente, il Dio di Mosè e tutto il resto… ma che cosa stai tentando di fare esattamente con questo povero ragazzo?
All’interno di questo doppio binario narrativo, Biff ci racconta dei primi miracoli, delle relazioni di Gesù con i membri della sua famiglia (fratelli e sorelle incluse), del precoce attaccamento a Maria Maddalena, dei rapporti con le autorità romane, dei viaggi in Oriente, da Gaspare sulle montagne della Cina, per imparare le arti marziali, intercettare il buddismo, l’induismo e il taoismo e assistere alle celebrazioni della dea Kali. Ci racconta – in altre parole – di un Gesù più picaresco e aperto al confronto, molto più di quanto ci hanno insegnato a pensare, un Gesù-persona che va alla ricerca del prossimo con amore e gentilezza proprio nella sua funzione di liberatore dell’umanità: in quanto esseri umani, siamo tutti spiritualmente uniti. Quale liberazione maggiore è possibile concepire e auspicare?
È questa la grande forza del romanzo: nel suo tono leggero e scanzonato, questo Vangelo secondo Biff, ci mostra un Dio di una dolcezza disarmante, delicato, malinconico, talvolta scapestrato e sarcastico ma di un sarcasmo pieno d’amore per il prossimo e per la vita. Qualcosa di cui si avverte, forse, più bisogno che di una serie di insegnamenti esemplari e modelli inarrivabili. Se davvero Gesù è stato un uomo, non c’è ragione di pensare che non possa essersi divertito, ubriacato, e soprattutto apprezzato la presenza di un amico che aveva sempre la battuta pronta (e non solo quella). Un amico tornato dall’aldilà per raccontarci, attraverso la penna lieve e ironica di Christopher Moore, una storia poderosa (quasi seicento pagine) ma impregnata di una sensibilità e di un’intelligenza che fa scivolare la lettura pagina dopo pagina, quasi senza accorgersene.
Va dato, infine, atto all’autore, dell’immenso lavoro di ricerca storica e filologica (di cui viene fornita testimonianza in appendice) che colloca questo libro a un livello più alto del mero intrattenimento fine a se stesso, ricordandoci al contempo che anche i testi cosiddetti ispirati dalla fede altro non sono che il prodotto dell’immaginazione di qualcuno.
Il bello della lettura e dei libri: da una parte testimonianza, dall’altra immaginazione. Sogno e realtà a cui solo noi possiamo dare forma e stabilire confini.