Giuro che non avrò più fame di Aldo Cazzullo

Giuro che non avrò più fame, L’Italia della Ricostruzione è il titolo dell’ultimo libro di Aldo Cazzullo (Mondadori Editore), scrittore e giornalista del Corriere della Sera, che mutua una battuta del celebre film Via col Vento, film uscito ufficialmente nel 1939 sull’onda del successo dell’omonimo romanzo di Margareth Mitchell, pubblicato nel 1933. Un saggio breve, di agile lettura, che non ha alcuna pretesa di insegnare o indottrinare, ma fornisce, molto semplicemente, una serie di spunti di riflessione sul periodo della Ricostruzione post bellica che il lettore sarà poi libero di seguire oppure no, scegliendo, magari, quale approfondire.

Torniamo un attimo a Via col vento. Il kolossal arrivò sui grandi schermi italiani subito dopo la fine della guerra, metafora quasi perfetta di quelli che ne erano stati gli orrori, anticipatore delle difficoltà che la Ricostruzione avrebbe comportato, e allo stesso tempo simbolo del sentimento di rinascita e di riscatto che, come Rossella O’Hara, le italiane e gli italiani dell’epoca iniziavano a sentire come dovere morale verso se stessi e le generazioni a venire.

La scena da cui è tratta la citazione è potente, emblematica ed evocativa: in fuga da un’Atlanta ormai occupata dalle forze dell’Unione, su un carro merci requisito quasi di forza e tra tante difficoltà, con l’amica/rivale Melania che ha appena partorito, Rossella arriva fortunosamente a Tara solo per trovarla distrutta e razziata dalla guerra. Prima di scoprire che la madre è morta e il padre impazzito di dolore, si ferma alle Dodici Querce (la tenuta dei Wilkies), scoprendola completamente rasa al suolo. Sfinita, demoralizzata, affamata, scava a mani nude nella terra dove sopravvivono solo radici marce che pure strappa per cibarsene, ma prima di addentarle per placare la fame, le solleva al cielo giurando: «Giuro davanti a Dio, e Dio mi è testimone, (…) non soffrirò mai più la fame, né io né la mia famiglia, dovessi mentire, truffare, rubare o uccidere».

 

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Per chi ha letto il romanzo o visto il film sa che quello rappresenta un drammatico punto di svolta: Rossella mentirà davvero, trufferà, ruberà, compirà quella promessa fino in fondo, pur di «non avere più fame», eppure dalla fame sarà perseguitata nei suoi incubi peggiori – anche quando avrà ormai superato lo stato di indigenza assoluta – prima di poter finalmente voltare pagine e dire: «Domani è un altro giorno».

Il domani è un altro giorno per l’Italia del secondo dopo guerra arriva con le prime elezioni politiche (dopo il referendum del 2 giugno 1946 e la contestuale formazione della Costituente): le elezioni del 18 aprile del 1948. Ed è un merito grandissimo di questo libro iniziare proprio da qui per ricordare che quel giorno ha la stessa, se non addirittura superiore, importanza di altre date che hanno segnato la genesi della nuova Italia post fascista. Una data che pochi conoscono, ma che è fondamentale per comprendere il processo di Ricostruzione del nostro paese, i meccanismi di antagonismo politico, lo scarto tra aspettative e risultati, per comprendere cioè, come e perché siamo arrivati agli scenari contemporanei.

«Allora era la guerra per non avere più fame, per ricostruire le macerie materiali e morali di un Paese bombardato e invaso. Quella di oggi [è] la guerra contro la rassegnazione. Per ricostruire la fiducia in noi stessi e nell’avvenire. E sconfiggere l’idea, inaccettabile, che essere italiani sia una sfortuna»

Il volume continua poi con una serie di ritratti di uomini e donne che in quell’Italia da rifare diedero, ciascuno a modo suo, il proprio contributo: Luigi Einaudi, Coppi e Bartali, Lina Merlin, Adriano Olivetti, Enrico Mattei, il Grande Torino, solo per citarne alcuni. Ogni figura è tratteggiata da una prosa impressionistica, nessuna pretesa di biografia: schizzi, piuttosto, anche alquanto grezzi, di personalità e di fatti che costituiscono la cornice ideale per rappresentare la voglia di rinascita che contraddistinse quella generazione e le cui storie saranno raccontate nell’ultima parte del libro, attraverso le lettere dei lettori del Corriere che rievocano le vicende private specchio della Storia nazionale.

Nel mezzo scorre una breve storia dell’evoluzione sociale del ruolo della donna nel nostro paese (del resto Cazzullo è autore anche del fortunatissimo: Le donne erediteranno la terra, sempre edito da Mondadori) nella convinzione che la libertà e la civiltà di un paese, di ogni paese, passi anche attraverso le conquiste di dignità e progresso operate dalle donne, quelle donne che come Rossella O’Hara furono le prime a rimboccarsi le maniche all’indomani di una guerra disastrosa, una «guerra che ci aveva tolto anche quello che non avevamo», e dire: «Giuro che non avrò più fame».

E tuttavia manca ancora qualcosa. Manca ancora di capire quale sia il fine, l’obiettivo, il progetto di un libro che si infila come un anello nella catena degli ultimi testi pubblicati dall’autore. Educare? Istruire? Indottrinare? No. Tali impieghi sono da scartare a priori. Attraverso i libri, attraverso, nello specifico, attraverso questo libro di Aldo Cazzullo, non si può dunque nè educare nè istruire ma esperire forse una delle funzioni morali della letteratura: risvegliare le coscienze, ritemprare gli spiriti. Di qualunque natura o fede politica, perché l’Italia è una e indivisibile e altrettanto lo sono la sua Storia, cultura, tradizioni.

Giuro che non avrò più fame può, quindi, fornire gli strumenti per coltivare con mente aperta, libera, indipendente, una crescita e una consapevolezza critica del nostro passato, distinguendo il fatto dal detto, il razionale dall’irrazionale, la scrittura dalla letteratura e dalle alchimie politiche, la realtà dalla favola. Di separare, in altre parole, il grano dal loglio.

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