Recensione a cura di Antonella di Martino
In Se vuoi vivere felice, Fortunato Cerlino (Einaudi Editore) racconta il suo Far West, la sua infanzia, i suoi eroi, la sua famiglia, le sue radici, le sue sconfitte, le sue vittorie, il suo percorso di fuga e di riscatto. Siamo a Pianura. Lontano dal centro di Napoli. Lontanissimo dall’Italia. Qui nel Far West, parlare italiano significa provocare, segnalare, marchiare un confine, imporre un atteggiamento. L’Italia è altrove, è il Paese della televisione di Stato. L’Italia appartiene ad altri, a chi si può permettere di pagare il canone, a chi può contare su un posto fisso, ai bambini che giocano con giocattoli veri e mangiano le merendine delle pubblicità, alle ragazze che trasgrediscono fumando sigarette e ascoltano Baglioni.
Negli anni 0ttanta, il Far West è governato da leggi non scritte ma incapaci di volare, molto più dure della pietra, leggi che svelano un mondo di odori e sapori e colori forti, dominato dalla tragedia, pervaso di poesia, salvato dall’ironia. La narrazione gioca e si fa complice di un linguaggio brillante, che evoca, connota, dona vita e ritmo ai personaggi e alle storie che si intrecciano in un unico vissuto. I vicoli, gli interni angusti e i punti panoramici si vestono di sangue e di passione, costruendo il teatro di un racconto che domina e segna l’immaginario con le sue parole chiave.
Scarpe parallele, merende parallele, vestiti paralleli… Un universo altro, di second’ordine, dalle radici contorte, dai confini labili, contraddistinto dalla contraffazione. Nel Far West si vive in parallelo, di simboli fasulli che testimoniano una prigionia nell’ombra, un vivere contraffatto, una povertà che lascia il suo marchio quasi d’infamia ovunque, disonorata da colpe che non ha. Il parallelo è un marchio che brucia, soprattutto sulla pelle.
«Tu l’è capito che io songo uno bbuono! Nun chiagnere! Dincelle ’e creature nostre, ’o pate è n’ommo positivo, tutti quanti tremmano quando sentono ’o nomme suoio».
L’uomo di conseguenza agisce di conseguenza, in altre parole si adatta all’ambiente. Si riveste di abiti griffati e di minacce, si aggrega ai predatori più feroci per diventare feroce anche lui. Usa la sopraffazione, sempre, anche e soprattutto nell’amore. Meglio il sangue della miseria.
L’uomo di conseguenza è un eroe negativo, che tuttavia non manca di grandezza. Ha fatto la sua scelta, onora il padre in prigione ma non la madre, che preferisce spaccarsi la schiena, piuttosto che accettare i soldi sporchi di sangue. L’uomo di conseguenza è un animale che pecca di becero coraggio e si riscatta con sublime vigliaccheria.
Lo ’strologo, il saputello, invece, è il bambino che sa le cose, che fa domande, che cerca risposte, che sogna di andare altrove, di fuggire oltre, che osa immaginare un futuro diverso, che prova a costruirlo. Lo ’strologo non si adatta, non soccombe. Lo ’strologo vuole di più, vuole tanto, ovviamente vuole troppo. Infine, lo ottiene. Ma le sue radici rimangono nel Far West, e il dialogo con il bambino goffo e povero e malvestito e in sovrappeso non può finire mai, perché chi nasce tondo non può morire quadrato.
Un memoir romanzato, scritto senza risparmio e senza distanza di sicurezza. Una scrittura che incanta per l’autenticità, che sazia e non delude. Una testimonianza preziosa, indimenticabile.