Ci ho pensato molto prima di decidermi a leggere Mi vivi dentro di Alessandro Milan (DeAPlaneta) il romanzo-tributo dedicato a Francesca “Wondy” Del Rosso, scrittrice e moglie dell’autore morta di cancro nel dicembre del 2016. E questo perché la mia vita ha sfiorato, seppure per meno di mezzora, quella di Francesca – una mezzora di vita intensa come ne ho vissute poche – e la notizia della sua scomparsa mi ha colpito come un pugno nello stomaco. Perché Francesca del Rosso era così: ti restava dentro, sempre e comunque
Nel settembre del 2016 è uscito Breve storia di due amiche per sempre e la redazione di Sul Romanzo, blog con il quale collaboravo allora, mi chiese di intervistare l’autrice, Francesca Del Rosso, appunto. Avevamo preso un appuntamento telefonico per la mattina alle nove, ma quando la chiamai mi disse che stava andando in casa editrice per un firma copie e che avremmo dovuto rimandare l’intervista al primo pomeriggio. Sarò onesta, un po’ mi arrabbiai: quello del blogger non è esattamente un mestiere; è – almeno nel mio caso – qualcosa che si incastra tra un impegno e l’altro di lavori con cui provi a tirare avanti fino alla fine del mese. Quello “scombinamento” di piani, il dover “riorganizzare” le altre attività in modo da accogliere le esigenze altrui, mi snervò un pochino.
Ma quando – verso le due circa – riuscii finalmente a mettermi in contatto con la Del Rosso, tutto il mio disappunto evaporò come acqua sul fuoco, sbollì e al suo posto ribollì qualcos’altro, un entusiasmo travolgente, una passione prorompente, un’esuberanza, una gioia incontenibile.
Io davvero vorrei potervela far sentire la voce briosa e frizzante di Francesca Del Rosso, così come l’ho sentita io: la sua schiettezza, la spontaneità, l’entusiasmo genuino e contagioso che ti resta dentro: dopo cinque minuti ci davamo del tu e chiacchieravamo come vecchie amiche sul senso dell’amicizia in generale e quella femminile in particolare (qui vi linko l’intervista, nella speranza – non so quanto fondata – di essere riuscita a rendere tra le righe quel turbinio di emozioni).
Disse, tra le altre cose, che gli uomini secondo lei erano meno disponibili delle donne a fare sforzi in nome dell’amicizia. Eppure, il suo uomo, suo marito, Alessandro Milan, ha fatto uno sforzo immenso per raccontarci gli ultimi mesi accanto a lei senza la retorica che si accompagna al pathos di momenti evidentemente drammatici, con la stessa schiettezza, semplicità e autenticità che forse proprio Francesca gli ha trasmesso.
Mi vivi dentro è una storia che racconta la malattia, il dolore e la morte senza sconti ma anche senza indulgere nell’angosciante, nell’amarezza, nel pietismo. Alessandro Milan racconta di come nel novembre del 2016 scoprirono che dopo essere riusciti a controllare il tumore al seno e quello ai polmoni, il male si era metastatizzato al cervello, avanzando devastante e definitivo. Racconta delle estenuanti visite in ospedale, dell’altalena di speranza e di sconforto, delle cure sperimentali. Racconta di come ha dovuto imparare e poi insegnare ai loro due figli piccoli a convivere prima con una madre malata e poi con la sua perdita, del primo canestro ufficiale di Mattia senza di lei, della cresima di Angelica senza sua madre. Ma racconta anche del primo incontro tra lui e “la Franci”, del primo appuntamento, del matrimonio, dei viaggi, delle feste di compleanno, in una narrazione che oscilla tra presente e passato dimostrando che presente e passato sono paralleli più che opposti.
Mi vivi dentro va oltre l’auto fiction, ci racconta Francesca, ma soprattutto racconta cosa sia la resilienza. Quella di Francesca e quella di coloro che ha lasciato.
La tristezza, lo struggimento, la commozione ci sono e si sentono ma sono come echi lontani, sciabordio di onde sul bagnasciuga di una nuova vita da inventare senza dimenticare quella vecchia, mantenendo invece l’integrità del ricordo in tutta la sua bellezza, la sua effervescenza, lo sguardo incantato e incantevole di un amore profondo, capace di andare al di là della “buona e della cattiva sorte”.
Merito anche di una prosa essenziale, che non si perde in manierismi inutili e superflui, prediligendo un lessico preciso e diretto, uno stile scarno e mai affettato che entra dentro il lettore, gli vive dentro, portandolo a conoscere Francesca Del Rosso, se non la si è mai incontrata, e a riconoscerla se, invece, la si è anche solo sfiorata – come è successo a me.
Non è un libro facile questo di Alessandro Milan: non lo è perché l’autore si spoglia di ogni maschera e rimane uomo nudo, fragile e vulnerabile di fronte al lettore. E perché chiede a chi lo legge di fare altrettanto, di spogliarsi del pudore e a sconfiggere la paura del dolore. In cambio, però, ti lascia dentro un senso di dolcezza, la delicatezza, come ali di una farfalla, e un’immensa sensibilità. Ti lascia in dono l’eredità della “Franci”.