Signorina cuorinfranti di Nathanael West (Minimum Fax) è un libricino deliziosamente cinico. Scritto durante gli anni della Grande Depressione da uno scrittore che in vita raccolse più fiaschi che altro, fino alla jella massima – morire precocemente giusto un giorno dopo F.S.Fitzgerald, come dire che la sua morte, al confronto, fu meno di un trafiletto in cronaca, più effimera di una lettera a Miss Lonleyheart – racconta le avventure di questa bislacca figura di giornalista sotto mentite spoglie, zimbello dei colleghi, che risponde a donne sull’orlo di una crisi di nervi, violentate, picchiate, usate come esemplari da monta.
È un’America, quella degli anni ’30 e degli speakeasy, triste, povera, amara, piegata e piagata come Miss Lonelyheart incapace non solo di trovare risposte semplici alle sue lettrici (Cristo? La fede?) ma che finisce addirittura per farsene inghiottire cercando consolazione negli stessi vizi da cui la paladina dei cuori infranti ammonisce di stare alla larga. Black commedy incredibilmente attuale, è un testo breve, scorrevole ma perforante e acuto come lo sguardo e la capacità di osservazione e analisi di West
Miss Lonelyhearts in effetti è un uomo ‒ di cui non verrà mai svelato il nome – che nella redazione di un giornale newyorchese, in attesa di tempi migliori viene assunto per curare la rubrica della posta del cuore: moli impressionanti di lettere, echi di ignoranza, indigenza, disperazione vera e propria che cercano conforto in chiunque possa dar loro anche solo un briciolo, un appiglio qualunque, tipo una Signorina Cuorinfranti che si immola per cercare la soluzione ai loro problemi.
In partenza la situazione potrebbe apparire comica, non fosse per l’assurda tragicità dei “casi” che le vengono sottoposte: stupri di ragazzine minorate, rapporti sessuali a rischio, gravidanze indesiderate. Altro che corna o amori impossibili, altro che trucchi e parrucchi.
Il punto è che la stessa (o lo stesso) Miss Lonelyhearts non è meno disgraziato e disperato delle sue lettrici. Per prima cosa è estremamente consapevole di non riuscire a dare più conforto e speranza di quanti ne abbisogni per sé, e questo lo fa piombare in una profonda depressione che nulla sembra in grado di placare: né l’alcool, né il sesso occasionale, né la strana relazione – consenziente ma non troppo – tra Miss/Mr Lonelyheart e la moglie del suo garrulo capo.
Miss Lonelyhearts avverte solo caos e disordine, e l’unica cura potrebbe, forse, essere l’amore, l’amore trascendentale, spirituale, l’amore cristiano. La grande panacea. Ma il fatto è che Miss Lonelyhearts è ateo, addirittura disgustato proprio da quell’umanità che non trova altra forza se non quella di affidarsi e rifugiarsi nelle preghiere e nei sogni e nelle speranze per combattere la misera condizione nella quale da sempre sguazza. Preghiere inascoltate, sogni infranti, speranze ritortesi contro, mentre la miseria avanza sempre di più.
Sono mesi ormai che Miss Lonelyhearts trascorre quanto più tempo può a letto, in condizioni di salute precarie (esaurimento nervoso? Piuttosto strani incubi nei quali sogna di immolare agnelli in nome di Dio o che il suo cuore sia diventato simile a una bomba a orologeria pronta a esplodere.
«Aveva le sensazione che il suo cuore fosse una bomba, una bomba complicata che avrebbe finito per scoppiare in maniera molto semplice, devastando il mondo senza nemmeno farlo tremare.»
Eppure Miss Lonelyhearts non molla, tanto tenacemente legato si sente al suo personaggio. Per questo motivo decide di incontrare una sua lettrice particolarmente disperata e confusa e, ovviamente, l’epilogo che ne scaturirà sarà la catarsi dell’intera parabola, umana e maldestramente divina, di Miss Lonelyheart.