È un romanzo amaro quello di Marcello Introna, amaro come il veleno, amaro come il nomignolo appiccicato al protagonista fin da bambino, un Castigo di Dio (Mondadori). Amaro come il contesto socio economico che permise alla Socia, questo grande caseggiato che tra gli anni Venti e Sessanta del secolo scorso sfregiò il cuore della città di Bari con una violenza quasi inimmaginabile e che pure è vero. Perché è da vicende reali che Introna infila l’ago con cui cuce questo romanzo che non conosce confine tra Storia e storie, un confine finito – chissà – anch’esso in qualche fogna come i cadaveri di puttane, tossici e infami, i cui resti sono tornati alla luce quando a metà anni sessanta il cancro della Socia venne finalmente estirpato. Ma le metastasi, quelle sono un’altra cosa, e chissà che non continuino a proliferare negli organi vitali della città.
Le vicende, romanzate ma non troppo, si concentrano nell’arco temporale della Seconda Guerra Mondiale, tra fascisti, truppe d’occupazione, eroiche manifestazioni di resistenza (la strage di Via Nicolò dell’Andro il 28 luglio 1943) che sono sprazzi di luce nelle tenebre soffocanti di un regime più disumano e spietato di quello imposto alla popolazione dal prefetto Arpino e dal suo luogotenente Amaro, un giogo spietato e inalterabile che nessuno sbarco alleato servì a liberare.
Se le viscere della Socia proliferano di morte, la vita al suo interno non è nemmeno degna di essere definita tale: una ferocia ottusa, cieca, implacabile che non risparmia nessuno e che di tutti approfitta (bambini, giovani donne in difficoltà). Una spietata colata di cemento che asfalta ogni forma di umanità e sentimento da cui pure sboccia, ogni tanto, un germoglio di solidarietà (Anna e Luigi).
È una storia, quella della Socia e dei suoi aguzzini, ancora poco nota ai più, agli stessi baresi delle generazioni più giovani, e anche chi la conosce si chiude in un silenzio omertoso e oblioso, o al più smozzica ricordi che sembrano leggende per quanto incredibili appaiono. Perché – la Storia ce l’ha insegnato eppure noi continuiamo a dimenticarcene – non c’è limite all’immaginazione del terrore, se non quelli che ci imponiamo per non ammettere che l’orrore, spesso, è dietro la porta accanto.