L’ultima bozza di Michele Scaranello: intervista all’autore

Venerdì 26 gennaio nella prestigiosa cornice della sala degli specchi  di Palazzo Tupputi a Bisceglie, io e Daniela Di Pierro, blogger di Leggendo a Bari (qui trovate la recensione al romanzo da parte di Daniela) abbiamo avuto la grande opportunità di presentare L’ultima bozza di Michele Scaranello, in una serata perfetta che ha tributato a un romanzo formidabile tutti gli onori che si merita.  

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La serata è stata organizzata con il prezioso contributo del Comune di Bisceglie, dell’Associazione Santa Margherita, del Rotary Club di Bisceglie, della Commissione Diocesana Feste Patronali, del Centro studi Biscegliese, Sinestesie Mediterranee, Confesercenti e Consorzio Mercati in città, e Insideout Eventi che con i maestri Antonio Furio e Mimmo Gassi hanno allietato l’evento con i loro superlativi intermezzi musicali.

L’ultima bozza è un appassionante viaggio tra presente e passato, tra Italia e Grecia, che ci racconta di Stefano, del suo lavoro di editor, a cui un destino beffardo farà un giorno incontrare il manoscritto di un giovane esordiente, Hektor, e nel correggerlo e rielaborarlo, qualcosa lo costringerà a rivedere tutte le sue convinzioni, ma soprattutto a fare i conti con se stesso, con la parte mancante di sé. Per farlo, Stefano dovrà ricorrere all’inganno, lo stesso inganno che ha segnato la vita dell’altro protagonista: suo padre Franco.

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(Photocredit: Bisceglielive)
  • Come è sbocciata l’ispirazione per L’ultima bozza? 

La scintilla scatenante è nata con l’idea di dedicare una storia a questa figura nascosta e bistrattata del correttore, una professionista che, per forza di cose, pur vivendo dietro le quinte, deve amare questo lavoro. Non a caso ritengo che sia una figura imprescindibile. La mia breve carriera insegna che si può fare a meno di un editore, ma mai di un editor. Così nel 2012 ho scritto un racconto e in quelle poche pagine avevo tratteggiato una storia molto simile, con la stessa ambientazione. Poi il destino ci ha messo del suo. Dopo pochi mesi, il ritrovamento del diario di mio suocero, la conoscenza delle sue vicende, mi hanno convinto che potevo romanzarle e intrecciarle in un’unica storia.

  • Centrale nel romanzo è l’esperienza di Franco, soldato italiano sul fronte greco durante la Seconda Guerra Mondiale che, dopo l’armistizio dell’8 settembre, venne imprigionato dalle truppe naziste e internato in ben otto campi di lavoro. La Storia dell’Italia dopo quella data è complessa: il paese spaccato in due, l’occupazione nazista al centro-nord; la Repubblica di Salò, la Resistenza, la guerra civile… tutte queste cose – più o meno – le sappiamo (o dovremmo). Poco sappiamo, invece, della sorte che toccò ai militari italiani che l’8 settembre erano al fronte: tra fughe più o meno fortunose ed eccidi di massa come quello di Cefalonia, si colloca una zona grigia, che è quella che tu ci narri nel libro: la deportazione nei campi di prigionia e che è, appunto, la storia di Franco che non è un personaggio fittizio ma realmente esistito. Quanto è importante, allora, leggere storie come quella raccontata ne L’ultima bozza per conoscere, per far luce, per avere una memoria collettiva completa?

La storia di Franco è sostanzialmente quella di mio suocero Filippo Scavo. Filippo non l’ho conosciuto in vita, ma ho ricostruito il suo carattere dai racconti dei suoi parenti, dalle sue memorie. La storia della sua prigionia è simile a quella degli ottocentomila soldati italiani internati in Germania, dopo l’8 settembre. Lui era stato arruolato come infermiere e, fin lì, aveva conosciuto il volto della guerra nelle ferite degli altri. Purtroppo i nostri reduci, le loro sofferenze hanno avuto un destino in parte offuscato dalla immane tragedia degli ebrei, ma anche da un certo negazionismo, anche interno, di chi ha pensato che una sconfitta possa togliere la dignità a un uomo.

Le tappe del suo calvario, prima con i nazisti, poi con i russi, hanno lasciato il segno in lui e in noi che le riviviamo nella sua testimonianza. Se Primo Levi diceva che “tutti coloro che dimenticano il loro passato sono costretti a riviverlo”, io penso che riviverlo oggi, deliberatamente e con costanza, ci vaccina dal pericolo di incappare negli stessi orrori. La memoria per me è una bussola che ci aiuta a non smarrirci, un seme da far germogliare nell’animo delle nuove generazioni.

  • Parliamo dei protagonisti maschili: Stefano è una figura in conflitto con se stessa. Franco, invece, è un personaggio forte e carismatico. Hector è forse il più defilato ma essenziale per l’incontro tra i primi due. Raccontaci delle loro anime, di come sono nati, del legame che si è creato tra te e loro?

Ogni autore coglie dalla realtà gli stereotipi dei personaggi da cui trarre spunto… Ho pensato a Stefano come un individuo un po’ mammone, introverso, un po’ fuori contesto, cresciuto con la convinzione che non esistano mondi migliori di quelli edificati dagli scrittori o dai musicisti jazz. Lui ha paura delle donne e non ama viaggiare e odia gli spazi vuoti della sua libreria, una libreria che accoglie i libri, gli Lp ma che è metafora della sua psiche, dei vuoti che lo tormentano. Ho pensato a Franco, invece come un uomo esattamente all’opposto: gaudente, libertino, astuto. Anche il linguaggio dei due personaggi è diverso e denota il divario formativo. Entrambi però, avvertono il valore della scrittura, delle passioni, e la musica lo è per entrambi. Ma per entrambi, il destino imporrà una metamorfosi sostanziale. Padre e figlio, con naturalezza, cadono negli stessi errori. L’amore li rende deboli e li redime. Hector invece ha un ruolo defilato, ma è la miccia, il detonatore che fa emergere le contraddizioni, gli inganni dei singoli e della società. È lui a imporre la riflessioni dell’uomo moderno. Il suo amore per la verità, in fondo, rappresenta il vero messaggio del romanzo.

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  • Le donne sono le altre protagoniste di questo romanzo, protagoniste silenziose, forse, ma non meno determinanti per l’equilibrio del romanzo. Non sono, insomma, mere controparti romantiche ma alfiere di un coraggio e di una auto-determinazione che le rende, in un certo senso, eroiche. Vuoi parlarci di loro?

Sì, sono proprio le donne a movimentare e a determinare i punti di svolta più importanti del romanzo, ma è innegabile: così avviene anche nella vita. Se l’uomo di solito è in prima fila nelle guerre, nella vita politica e sociale, le donne – anche svolgendo un ruolo apparentemente secondario – tessono il mondo. E lo fanno con i loro silenzi, con la loro complicità. Direi che rappresentano la vera spina dorsale dell’umanità. Da sempre sono le prime a rimboccarsi le maniche, le prime ad agire quando c’è da rifare qualcosa o da ricucire un rapporto affettivo. Sophia e Chiara nel romanzo sono le donne del passato, quelle che hanno superato i lutti della guerra. Sono le vere protagoniste di una ricostruzione fondamentale, materiale e immateriale. Non a caso, l’esperienza e il coraggio delle donne di quell’epoca sono stati fondamentali per riscostruire l’armonia, gli equilibri smarriti delle famiglie e della società italiana. Le donne di oggi hanno più consapevolezza e determinazione, e non a caso ho assegnato ad Artemis la spada di questa emancipazione che si traduce nel coraggio di rompere gli schemi, di sfidare l’uomo, così fragile nei suoi inganni.

  • L’ultima bozza è un omaggio a tante cose e, non meno importante tra queste, anche alla musica jazz. Io che ti conosco come autore ormai da qualche anno, so che la musica è sempre una parte integrante dei tuoi romanzi, che racchiudono al loro interno una sorta di colonna sonora. Permettimi una domanda di tipo marzulliano, per così dire: è l’ispirazione narrativa a guidarti verso la scelta di un genere musicale piuttosto che un altro o il contrario? 

È l’ispirazione narrativa, senz’altro. La musica è sempre presente nei miei romanzi perché lo è nella vita quotidiana di ogni individuo. Ognuno di noi, anche chi non ha una particolare predilezione di genere, affida spesso alle note i suoi ricordi, i sogni, il suo bisogno di libertà. Ma pensiamo al ruolo della musica durante la guerra, al suo potere di mantenere vivo il legame con la propria patria. La musica è capace di attrarre emozioni e difficilmente un individuo può sottrarsi a questo piacere. Nel mio scrivere, quando nasce un personaggio, penso già di conoscere ogni suo dettaglio: il suo modo di pensare, di vestire, di parlare. Le sue scelte, i suoi gusti non sono mai casuali e, soprattutto, devono incastrarsi perfettamente, fino a delinearne fisionomia e psicologia. Con L’ultima bozza la scelta è ricaduta sul genere jazz perché il modo di interpretare il suono, il dissacrare lo spartito, il riscrivere ogni composizione, ben si conformava a Stefano, il protagonista.

  • L’ultima bozza è uscito per la prima volta nel 2013. Com’è cambiato in questi anni il tuo rapporto con il romanzo? Anche alla luce delle tue altre esperienze editoriali, l’ultima, recentissima, l’e-book per Libro/mania de La corda del violino (che qui abbiamo recensito), partendo dal presupposto che L’ultima bozza è stato auto pubblicato, una scelta ambiziosa, forte e rischiosa, per molti versi, e che però – bisogna dirlo – se cinque anni dopo siamo qui a parlarne, evidentemente ha premiato. E come sei cambiato tu – se ritieni di esserlo – come scrittore e come uomo in questi cinque anni? 

Parto dal presupposto che di ogni bel libro ricordiamo l’autore, il titolo, ma soprattutto la storia dei protagonisti. L’editore, e lo stesso editor che comunque contribuiscono al successo di un lavoro, occupano sempre un ruolo marginale. Il pubblico però sa riconoscere un buon lavoro, una bella storia, colgono l’autenticità la forza impressa dall’autore e probabilmente questo è la ragione per la quale, a cinque anni dalla sua uscita, si parla ancora di questo romanzo.

Da ragazzo avevo molte più ambizioni letterarie, nel tempo ho capito di dover affiancare alla mia vocazione, la lettura e l’approfondimento. Ora sono diventato più consapevole e più esigente con me stesso, e questo mi ha portato a crescere, fino a destare l’interesse di qualche editore. Di una cosa però vado fiero: le mie storie nascono perché fortemente sentite, volute, come si può desiderare un figlio. E questo aspetto di autenticità, di candore, al di là dello stile linguistico, come dicevo prima, il lettore lo coglie sempre. Per me la scrittura è uno strumento di esplorazione, per scoprire il mondo e per conoscermi. Ma rappresenta anche la via di fuga, il desiderio di viaggiare e far viaggiar la mente in mondi e personaggi nuovi. Purtroppo la mia passione, perché di passione voglio parlare, costa molti sacrifici e solo il riconoscimento del pubblico può debitamente ripagarmi del tempo sottratto ai miei amici, alla mia famiglia.

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In conclusione, tengo particolarmente a sottolineare che i proventi di questo romanzo sono, ormai da cinque anni, devoluti interamente in beneficenza all’Associazione “Angeli di Noonan” che si occupa del sostegno alla ricerca sulla Sindrome di Noonan, una malattia genetica rara che colpisce un bambino ogni 1000-2500 e che è caratterizzata da cardiopatia congenita, ritardi nello sviluppo fisico e altre manifestazioni cliniche che impattano la qualità della vita dei bambini che ne sono affetti e delle loro famiglie, una grande testimonianza di solidarietà e sensibilità che rendono questo L’ultima bozza un romanzo, se possibile, ancora più speciale.

Titolo: L’ultima bozza

Autore: Michele Scaranello

Pagine: 214

Costo: 17 € (3,49 versione e-book) 

 

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