La sfida di Adelphi: I Diari Bollenti di Mary Astor

Il secondo libro che ho scelto di leggere per la IRead Book Challenge di Leggendo a Bari è: I diari Bollenti di Mary Astor di Edward Sorel edito da Adelphi. E infatti la categoria sfidata, non a caso, è: Casa Editrice preferita.

Sorvolando sulle ragioni che fanno di Adelphi la casa editrice che prediligo (o una delle, ma è sicuramente un passo avanti, almeno per quanto mi riguarda) e che sono tutte strettamente riconducibili a questioni personali, trovo che I diari bollenti di Mary Astor rappresenti davvero una sfida per il lettore medio di Adelphi, abituato a una veste grafica sempre riconoscibile e immediatamente riconducibile a uno stile editoriale di un certo tipo. Già a partire dalla copertina, che se da una parte è la stessa dell’edizione originale uscita nel 2016, e che «rende questo libro anche fisicamente diverso da qualsiasi altro», dall’altra “esprime” più e meglio delle parole quello che il lettore troverà al suo interno: il resoconto da tabloid di uno dei primi scandali sessuali nella Hollywood degli anni ’30.

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Tabloid è la parola chiave. Lo è, come già detto, per la grafica di copertina, ma anche per il formato del libro stesso, che del tabloid riprende (o quasi) le misure.

 

61mhJdtGftL(La copertina originale, uguale quasi in tutto e per tutto a quella italiana)

 

Da tabloid è il registro linguistico usato dall’autore, molto poco letterario, vira verso il colloquiale, a tratti verso il sensazionalistico. Da tabloid, ancora, sono i titoli dei diversi capitoli. Da tabloid è la trama: Mary Astor è stata una diva del cinema americano della prima metà del secolo scorso; ha iniziato quasi bambina nel 1921 (una scena, poi tagliata, di Sentimental Tommy) quando ancora il cinema era muto e ha terminato nel 1964 nel cult Piano… piano dolce Carlotta di Robert Aldrich. Nel mezzo una sessantina di film, tra i quali Infedeltà (1936), Il prigioniero di Zenda (1937), Il mistero del falco (con Humphrey Bogart, per la regia di John Houston, 1941), La Signora di mezzanotte (1939), La grande menzogna (con Bette Davis, che le valse, nel 1942, l’Oscar come migliore attrice non protagonista), e il ruolo che forse l’ha resa ‒ se non celebre quantomeno ricordabile dal pubblico più giovane – quello della Signora March nel leggendario Piccole Donne del 1949 (quello diretto da Marvyn LeRoy, con Janet Leigh, Elizabeth Taylor, June Allyson, Peter Lowford e Rossano Brazzi).

Piccole_donne_(film_1949)

Nel mezzo, e precisamente nel 1936, uno dei primi scandali a luci rosse nella castigatissima Hollywood della MPAA e del Codice Hays (uno scandalo che oggi troverebbe posto, forse, solo nei salotti di Barbara D’Urso, tanto siamo abituati a sentirne, vederne, leggerne di peggio). Mary Astor, che invece tanto castigata non era («Sessualmente non mi controllavo. Bevevo troppo, e a tarda sera finivo per trovare qualcuno ‘molto attraente’. Salvo svegliarmi il mattino dopo con una sola domanda in testa: Perché? Perché?)», era stata coinvolta in un caso giudiziario per l’affidamento della figlia di quattro anni. Contro di lei, l’ex marito, per dimostrare quanto indegna fosse come madre, aveva reso nota l’intenzione di ricorrere ai diari intimi della donna dove era riportata la «minuziosa contabilità delle proprie esperienze extraconiugali valutate anche in base a criteri strettamente meritocratici». Millantava, insomma, che oltre ai particolari piccanti, Mary avesse affidato ai suoi diari le pagelle dei suoi amanti in base al numero di «estasi» che erano stati in grado di farle provare.

«Venti, caro diario, segnati il numero venti… non so come fa… è perfetto»

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(Per chi fosse interessato/a, l’amante delle 20 volte era George Kaufman, celebre commediografo dell’epoca)

Millantava perché il diario nella sua interezza non è mai stato davvero letto, visto che, dopo essere stato sequestrato a fine processo, fu bruciato da un giudice nel 1952.

Di tutto quel baccanale che fece tremare tutta Hollywood restarono invece, appunto, i tabloid. Tabloid che furono usati da chissà chi per pareggiare le assi scricchiolanti del pavimento di una casa nell’Upper East Side, che nel 1965 Edward Sorel e la sua seconda moglie presero in affitto a 97 dollari. L’appartamento cadeva a pezzi, e una delle prime cose che Sorel si accinse a fare fu divellere il linoleum piuttosto marcio della cucina, tirando via uno strato dopo l’altro fino a raggiungere una serie di numeri del «Daily News» e del «Daily Mirror» tutti datati 1936 e tutti dedicati allo scandalo Astor, a Mary e ai suoi diari.

Edward Sorel (classe 1929) è un graphic designer, un illustratore di prim’ordine, autore di svariate copertine del «New Yorker», «Time», «Vanity Fair» e altri grandi testate giornalistiche internazionali. Per cinquant’anni ha girato intorno all’idea di scrivere una storia su quella scoperta conturbante che coinvolgeva un’attrice per lui iconica, quasi un’ossessione – come la definisce lui stesso nel libro, tanto che a un certo punto immagina di evocarne lo spirito (Mary Astor è morta nel 1987) per poterla intervistare “di persona”.

«Dopo aver letto la sua autobiografia ed essermi reso conto che avevo a che fare con una vera scrittrice [oltre alla sua autobiografia, My story, Mary Astor ha scritto anche un paio di romanzi che hanno avuto un discreto successo, n.d.r.], ho deciso che mi sarei battuto per lei esattamente come Felix Mendelsshon era diventato il paladino di Bach. (…) D’accordo, non era stata una dea del sesso come Rita Hayworth o Marylin. (…) Non era neppure stata una stella di prima grandezza, e forse per questo mi ero immaginato di poterle dare io un po’ di luce. E poi, insomma, il modo abbastanza rocambolesco in cui avevo scoperto tutta quella storia dello scandalo sembrava un segno. O no?».

Di fatto l’autore novantunenne dà un po’ di luce anche a se stesso: tutto il libro è concepito come un dialogo tra la vita di Mary Astor e quella di Edward Sorel, che non lesina episodi della sua biografia che talvolta sembrano totalmente slegati dal contesto. Quasi un mettere le mani avanti: e se nessuno trovasse materiale scabroso sotto le assi di un pavimento e scrivesse un giorno la biografia di Sorel stesso?

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Il libro, in definitiva, risulta piacevole da leggere, per l’ironia e autoironia del suo autore, oltre che per le 50 (segnatevi questo numero, lettori) tavole illustrate in cui Sorel fa ciò che gli è più congeniale: illustra, descrive, racconta per immagini sghembe, caricaturali, ma di formidabile impeto artistico, la storia che racconta.

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È un libro scommessa per l’Adelphi, su questo non ho dubbi: un libro che per argomento, protagonisti, stile, struttura può forse spiazzare i lettori abituali della C. E. e risultare di nicchia, attrarre più i cinefili, gli appassionati di grafica più che il pubblico mainstream. Ma è una scommessa che è stata fatta, secondo me, con se stessi e che quindi non importa vincere: importa piuttosto saper ragionare oltre gli schemi e la logica della corrente editoria. Da questo punto di vista, l’Adelphi ha vinto.

Titolo: I Diari Bollenti di Mary Astor

Autore: Edward Sorel

Editore: Adephi

Pagine: 166

Costo: 20,00 €

 

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