Perché scrivere di Zadie Smith (editore Minimum Fax, traduzione a cura di Martina Testa e Marina Astrogolo) è stato l’ultimo libro che ho letto nel 2017 e il primo di cui vi voglio parlare nel 2018. Si tratta di una settantina di pagine in cui l’autrice di NW e Denti Bianchi si interroga, senza retorica e senza sconti, nell’epoca di internet e dei social network, del relativismo e dell’individualismo, dell’egotismo della cultura, quale funzione può ancora sperare di avere lo scrittore?
Muovendosi sul filo contorto del bipolarismo tra culto del successo e voce che grida nel deserto, la Smith si chiede chi è, in sostanza, lo scrittore? Perché scrive? Per l’urgenza di dire qualcosa? Per interpretare una forma di leadership? Per trovare una risposta, parte dalla sua esperienza: «Scrivo per costruire questa frase; per renderla più bella che posso, questa qui e anche la successiva».
Si scrive dunque per l’estetica? Per la bellezza della parola sublimata in una storia? Da consumatrice di libri mi verrebbe da rispondere: «Magari!», senza bisogno di spiegarmi oltre, ché il mondo dell’editoria (qualunque esso sia), lo conosciamo tutti e tutti abbiamo la nostra lista di rimostranze che forse neanche il Parlamento ci starebbe in pari. Perciò la mia auto definizione di consumatrice di libri non è una perifrasi peregrina. Il lettore della società contemporanea è prima di tutto un consumatore. E questo lo sanno bene tanto gli scrittori quanto gli editori, i critici, chiunque – insomma – navighi più o meno a vista in questo mare magnum di parole: «un modo per rivendicare le nostre capacità di esseri umani in un mondo che spesso ci vede esclusivamente come produttore o consumatori».
D’altra parte, non bisogna dimenticare che la bellezza è figlia dell’arte e l’arte, a sua volta, è il tramite attraverso il quale l’uomo ha, da sempre, cercato di imitare la natura e la realtà. Il principio di realtà è, non a caso, l’altro motivo per il quale, secondo Zadie Smith, si scrive: creare una realtà che tocchi la gente.
«Il problema è che la nostra vita, come ben sanno i buoni romanzi, è sempre una visione parziale, ingannevole, a partire da un punto di vista realmente esistente. […] Ne discende che il dovere di ciascuno scrittore è diverso, perché la visione indipendente di ciascuno deve per forza avere un’angolazione diversa e un’urgenza diversa»
Chi scrive, scrive dunque per dare forma al proprio mondo interiore, all’interpretazione che l’unione della propria sensibilità con la razionalità ha generato della realtà, riuscendo a convincersi e a convincerci dell’inviolabilità, ma anche della originalità, dell’indipendenza, della libertà e dell’autodeterminazione della realtà degli altri. Il passaggio dal principio di realtà a quello di democrazia è sottile, come si può vedere, ma non si parla forse proprio di una Repubblica delle lettere?
Si scrive per accettarsi. E si legge per imparare ad accettarsi. Imparare che esistono tante facce di una stessa medaglia. Imparare anche a discernere quelle disfunzionali da quelle immaginifiche, quelle commerciali da quelle più intimistiche e raffinate. Perché il mestiere dello scrittore è biunivoco e non può fare a meno del lettore. Perché chiediamo: «Perché scrivere?» ma dovremmo chiederci altresì: «Perché leggere?». E Zadie Smith è una scrittrice troppo intelligente per tralasciare questa parte del discorso.
Perché scrivere parla dunque anche del perché leggere, aggiungendo un ulteriore anello alla catena: dal principio di realtà a quello di democrazia a quello di reciprocità: le maglie sono strette ma non è un giogo e non è un castigo. È forse l’invenzione più meravigliosa che l’uomo ha saputo produrre nel corso millenario della sua storia.
Titolo: Perché Scrivere
Autore: Zadie Smith
Traduttore: Martina Testa e Marina Astragolo
Editore: Minimum Fax
Anno di Pubblicazione: 2017
Costo: 7,50
Pagg: 71